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Finanza d’impatto: facciamo il punto

La chiusura dell’anno si presta ad alcune considerazioni e valutazioni di carattere pratico, frutto della mera osservazione del mercato e dell’ecosistema dell’innovazione e della finanza ad impatto sociale. Si tratta del contesto nel quale il nostro dipartimento Charity & Social Enterprises si muove da tempo, affiancando operatori ed investitori e avendo, per questo, il privilegio di poter conoscere da vicino le realtà e le opportunità del mercato, le tendenze più evolute, le problematiche da risolvere dal punto di vista legale.

Questa esperienza, insieme a quella che da quasi quattro lustri ci porta a collaborare con il mondo accademico e con quello delle istituzioni sovranazionali, offre lo spunto per alcune considerazioni pratiche sullo sviluppo della finanza ad impatto sociale rivolgendo l’attenzione sia al mercato nazionale sia a quello internazionale, con attenzione alle tendenze globali di questo ambiente.

Si sta per concludere un anno fondamentale per lo sviluppo della finanza ad impatto sociale in Italia, quasi certamente l’anno della svolta. Dopo anni di conferenze e dibattiti, valutazioni e analisi, più o meno teoriche, approfondimenti comparatistici dei modelli e dei mercati di riferimento, accompagnati dalle immancabili polemiche e divisioni in fazioni di sostenitori e detrattori – a quanto pare, abituali nel nostro Paese, anche quando si ragiona di qualcosa che … ancora non esiste -, finalmente l’ecosistema della finanza ad impatto sociale ha iniziato a popolarsi dei primi operatori che hanno affiancato lo sparuto manipolo di pionieri, già da qualche anno operativi sul mercato. (FINO A QUI)

Diciamo la verità, questo settore anziché’ essere stato supportato e favorito, nella fase di avvicinamento e sperimentazione, da quegli operatori istituzionali e pubblici che, per statuto o per vocazione, dovrebbero essere vicini all’innovazione sociale (mettendo a frutto la antica e sviluppata tradizione di economia sociale del nostro Paese) è stato quanto meno snobbato da costoro, se non addirittura osteggiato.

In sostanza, anche in Italia lo sviluppo della finanza ad impatto sociale sta dimostrando come le tipologie di business oggetto degli investimenti non debbano necessariamente essere ricondotte al perimetro della tradizionale economia sociale, ma al contrario rappresentino nuovi modelli di imprenditoria ibrida, collocati sicuramente fuori dal perimetro del tradizionale Terso Settore e rappresentativi di una nuova tendenza che, a livello globale, sta mostrando il superamento della tradizionale economia capitalistica attraverso ibridazioni che puntano a modelli imprenditoriali sostenibili e scalabili. Vedremo nei prossimi mesi quali saranno i primi riscontri, quando le operazioni finanziarie avviate nel corso di quest’anno cominceranno ad interessare in maniera sistematica il mercato, valutando la portata e gli effetti di questi investimenti, la concreta valutazione delle opportunità sul fronte dell’offerta, la capacità di sviluppare modelli di imprenditoria sostenibile e scalabile nell’ambito del business sociale.

Un anno fondamentale anche in ambito internazionale, soprattutto per la conclamata centralità che la finanza ad impatto sociale ha assunto nelle politiche di sviluppo sostenibile, unitamente alla volontà di sostenerne lo sviluppo secondo regole che permettano, da una parte di definire con chiarezza il perimetro del social impact e dall’altra di creare un modello globale che permetta di attirare risorse ed investimenti in grado di alimentare lo sviluppo di modelli di imprenditoria ibrida capaci di generare un beneficio collettivo.

E’ stato questo il tema centrale della conferenza annuale del GSG (Global Social Impact Investment Steering Group)  a New Delhi lo scorso ottobre, dove si sono intrecciate esperienze e storie diverse, e dove la matrice tipicamente finanziaria del mondo anglosassone, protesa verso la creazione di modelli e format ripetibili che permettano di replicare e scalare il medesimo business a livello globale, si è misurata, da un lato, con l’approccio più rigoroso delle economie dell’Europa continentale, più avvezze a modelli storici di economia sociale e, soprattutto, più inclini a principi regolamentari basati sull’esperienza dei modelli disciplinati dall’UE (come nel caso dei fondi EUSEF ed EUVECA), dall’altro con le esigenze di supporto a modelli di business inclusivi e di beneficio collettivo, generativi di sviluppo sociale ed economico, come nel caso del Sud America e dell’Africa. Una grande esperienza avere partecipato a questa conferenza e al dibattito che ne è scaturito, soprattutto per la consapevolezza che nei prossimi mesi, grazie al contributo di operatori, studiosi e professionisti di diversa provenienza ed estrazione, si definiranno le basi per lo sviluppo globale del social impact in ambito globale.

Sulla scia di queste valutazioni, occorre prendere in considerazione anche l’esito del recente incontro del G20 che si è tenuto in Argentina alla fine di novembre. Il tema dell’impact finance è stato ampiamente discusso e trattato, proprio per la acquisita consapevolezza del ruolo assunto per sostenere lo sviluppo di un nuovo modello economico sostenibile e generativo di impatto sociale. Infatti, nel documento conclusivo approvato dal G20 è espressamente sancita la sua rilevanza tanto che si legge: “We will endeavor to further create enabling conditions for resource mobilization from public, private and multilateral resources, including innovative financial mechanisms and partnerships, such as impact investment for inclusive and sustainable growth, in line with the G20 Call on Financing for Inclusive Business.” https://g20.org/sites/default/files/buenos_aires_leaders_declaration.pdf

Un altro aspetto da porre in evidenza, analizzando le tendenze degli ultimi mesi in questo settore, riguarda la diffusione dei Sustainable Development Goals (SDG’s) delle Nazioni Unite, non tanto per il loro contenuto, quanto per il ruolo di collante e di strumento di uniformazione dei diversi dialoghi che si stanno sviluppando in ambito globale sul tema della sostenibilità. Ora, senza volersi cimentare su considerazioni di dettaglio riguardo agli SDG’s, ciò che preme evidenziare in questo ragionamento è quanto essi sia diventati una sorta di parametro di riferimento per facilitare il dialogo ed il confronto non solo intorno a temi di business o imprenditoria sostenibile, ma anche in ambio di investimenti ad impatto. Detto diversamente, senza voler attribuire agli SDG’s una funzione di metrica per misurazione dell’impatto sociale (affermazione che, peraltro, risulterebbe essere poco fondata, se non superficiale), essi rappresentano invece un acceleratore delle valutazioni che si stanno sviluppando in ambito globale, con lo scopo di creare un perimetro comune sufficientemente caratterizzato su cui, successivamente e contemporaneamente allo sviluppo del mercato, sarà possibile incastonare principi regolamentari più sofisticati e adatti a definire il nucleo centrale delle dinamiche di investimento d impatto, vale a dire il social impact.

Un percorso necessario per evitare di cadere nelle banalizzazioni, nelle strumentalizzazioni e per scongiurare il rischio di “impact washing”, se non addirittura di una bolla finanziaria intorno alla finanza ad impatto sociale. Questo sarà il passaggio necessario, da affrontare nei prossimi mesi, in modo da creare un perimetro sufficientemente chiaro e condiviso per contrastare l’adagio “se tutto è impact, niente è impact”, che farebbe naufragare il tentativo di supportare lo sviluppo di questo sistema innovativo capace di generare una dinamica finanziaria davvero innovativa e rivoluzionaria.

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