Il conferimento in capitale delle criptovalute è non attuabile per la Corte d’Appello di Brescia
Con provvedimento del 30 ottobre 2018, la Corte d’Appello di Brescia si è pronunciata negativamente sul reclamo proposto dall’amministratore unico di una s.r.l. avverso il decreto del Tribunale che aveva negato il conferimento in natura di criptovalute (già commentato qui).
In prima istanza, il Tribunale aveva avallato l’interpretazione del Notaio che, stante la volatilità della criptovaluta in oggetto, si era rifiutato di provvedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera assembleare di aumento di capitale sociale. In particolare, le Sezioni Specializzate avevano ritenuto non affidabile la perizia di stima e dunque impossibile il conferimento (nel caso di specie), pur precisando che non era genericamente “in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle c.d. ‘criptovalute’ a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l.”.
La Corte d’Appello, adita in funzione di giudice del reclamo, ha confermato il provvedimento di diniego con una motivazione parzialmente differente e più restrittiva di quella del giudice di prime cure.
Dopo aver ricordato che l’art. 2464 c.c. prevede come normale il conferimento in denaro, consentendo tuttavia anche quello in natura di tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica, la Corte ha rilevato che, stante l’indiscussa funzione di pagamento delle criptovalute, queste devono essere assimilate sul piano funzionale al denaro poiché servono “come l’euro, per fare acquisti, sia pure non universalmente ma in un mercato limitato.”
Su questo presupposto, “l’effettivo valore economico della ‘criptovaluta’ non può in conseguenza determinarsi con la procedura di cui al combinato disposto dei due articoli 2264 e 2265 c.c. – riservata a beni, servizi ed altre utilità, diversi dal denaro – non essendo possibile […] attribuire valore di scambio ad un’entità essa stessa costituente elemento di scambio (contropartita) nella negoziazione”.
Pertanto, in ragione dell’inesistenza di un sistema di cambio per le criptovalute che sia stabile ed agevolmente verificabile (con una motivazione che– muovendo da una criptovaluta centralizzata, poco diffusa e non listata sui principali exchange – sembrerebbe essere stata generalizzata ad ogni criptovaluta), la Corte conclude sostenendo che “non è pertanto possibile assegnare alla criptovaluta […] un controvalore certo in euro, essendo a tal fine precluso, per le ragioni sopra esposte, il ricorso alla mediazione della perizia di stima. Conclusivamente, non è possibile attribuire alla criptovalute una determinazione in valore (e cioè in euro) effettiva e certa”.