Inaugura lunedì 24 giugno 2019 presso R&P Legal: ETTORE MOSCHETTI, Quando chiudo gli occhi
Lo Studio R&P legal prosegue il suo percorso nell’arte ospitando l’opera di Ettore Moschetti. I dipinti cromaticamente avvolgenti di Moschetti abiteranno le sale riunioni di R&P Legal dal 24 giugno al 22 settembre 2019.
Un rumore di fondo che finisce con il diventare uniforme più del silenzio: il rumore assordante della metro-poli, con le sue voci, i suoi frastuoni, il clacson delle auto e il rombo delle moto. Una città che ha il suono, il profumo e i colori di Napoli, luogo d’origine dell’artista, ma che finisce con il diventare archetipo della vita urbana in qualsiasi parte del mondo: un dinamico coacervo di esistenze, una straordinaria mescolanza di indi-vidualità che formano una massa, una Babele multiforme e in costante mutamento.
Quelli dipinti da Moschetti sono luoghi in bilico tra il delirio metropolitano e il monumentale silenzio di un tempio classico, tra New York e Spaccanapoli, perduti tra la realtà quotidiana e i miti antichi, luoghi nei quali il Minotauro dialoga con uno scugnizzo in motorino.
Le opere di Ettore Moschetti sono figlie dell’affascinante incontro tra classicità e modernità, tra il maestoso respiro dell’antico e il dinamico frastuono del presente. Profonda è l’impronta della sua origine partenopea, profondo il segno lasciato nella sua visione pittorica dallo studio della storia dell’arte e dell’archeologia. Pro-fondi ma non asfissianti, non vincolanti: l’arte di Moschetti sa essere contemporanea, smarcandosi dai confini, suggerendo costanti riferimenti visivi senza mai restarne vittima. In un dialogo intenso e contradditorio con le forme della classicità, con la sperimentazione e la volontà di destrutturazione di molto Novecento (Picasso su tutti), con una certa estetica perduta tra espressionismo e raffinatezze secessioniste e con la figurazione transavanguardista, lo stile di Moschetti trova una propria personalità inconfondibile, che passa sia dalle scelte linguistiche che da quelle tecniche e iconografiche.
“La mia pittura nasce da un gesto quasi istintivo a comporre la figura da una sorta di caos primordiale”, scrive di sé l’artista. Un “caos primordiale” che, però, non abbandona mai la figurazione per lasciarsi tentare dalla via dell’astrattismo, sebbene talvolta sfiori, ma soltanto sfiori, l’informale, senza comunque mai riconoscervisi. Il tema iconografico ha, senza dubbio, un ruolo fondamentale nell’opera di Moschetti: l’uomo ne è assoluto protagonista, anche quando raccontato attraverso l’immaginario mitologico. L’uomo, l’umanità tutta, la società umana, la sua storia e il suo quotidiano rappresentano il nodo focale della produzione dell’artista, tutta giocata sulla narrazione, sulla contaminazione di piani spazio-temporali, sulla sovrapposizione di passato e presente, eterno e contingente. Un racconto che affonda le proprie radici nelle origini della cultura mediterranea per giungere fino all’attualità, fino al nostro oggi, un oggi che Moschetti pare voler elevare al ruolo di archetipo, eternandolo alla stregua di un mito.
Per scrivere le sue pagine di vita Moschetti non si dà confini tecnici e linguistici; ogni strumento, ogni mezzo è funzionale all’espressione del suo sentire. “Ho dentro di me la scultura come volume, plasticità”, scrive, “una visione a tutto tondo della materia, un’idea più completa dell’immagine. Mi interessano tutti i linguaggi artisti-ci, mi piace fondere e contaminare la pittura, la grafica, la scrittura. Non c’è per me distinzione tra pittura e scultura, dipingo da sempre cerco di lavorare tutti i giorni con le mani a partire da qualcosa, qualunque cosa”. E dobbiamo intendere questo qualunque cosa in modo letterale. Sulle tele di Moschetti grumi di colore si me-scolano a frammenti, ritagli, pezzetti di carta, avanzi di lavorazione, croste di vernice; Batman incontra Apollo e il profumo del caffè appena uscito da una caffettiera si contamina con il gas di scarico di una moto. Occhi, mani, volti, oggetti, animali, alberi, automobili, corpi prendono forma ora in una trama stratificata di materie, in una texture straordinaria fatta di colori, pennellate, inserti a collage. La pittura di Moschetti è, per citare di nuovo le parole dell’artista, “una regione di frontiera, un posto senza leggi, di confine, dove regna sovrana l’incertezza e la provvisorietà”. Un’incertezza a provvisorietà che, sia chiaro, l’artista gestisce con mano sicura, da artista di lungo corso, abituato a esprimersi con i mezzi più diversi con la sapienza di chi intende ancora l’arte come prodotto “delle mani”, oltre che dell’intelletto: perché Moschetti è e resta innanzi tutto un pittore e uno scultore nel senso più tradizionale dei termini.
Nel caos controllato dell’opera di Moschetti l’esistenza quotidiana scorre sovrapponendosi all’atemporalità del mito classico, in un universo visivo fortemente sinestetico, nel quale convivono il silenzio di un caldo pomeriggio estivo e il fragore di una strada del centro, il segno irriverente di un writer su un muro di città e la metopa di un tempio antico, un cane randagio che corre per strada e un supereroe pronto a difendere la metropoli.
(Simona Bartolena)
Ettore Moschetti nasce nel 1951 a Napoli. Dopo il liceo artistico frequenta l’Accademia di Belle Arti con il maestro Augusto Perez. Fin dagli esordi si interessa anche di scultura e, dal 1991, di calcografia. L’attività espositiva ha inizio ufficialmente nel 1980, con una mostra a Expo Arte di Bari; ne seguiranno molte altre, sia in Italia che all’estero. Dal 1987 vive e lavora a Trezzo sull’Adda.