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Clausole vessatorie e poteri del giudice: quale rischio per l’impresa di subire modifiche alle clausole non impugnate ...

Nei rapporti tra consumatore e impresa è quasi sempre l’imprenditore a determinare le condizioni del contratto. Nella prassi, quindi, le clausole contrattuali dettano spesso un regime di favore per l’impresa: basti pensare ai contratti predisposti per la clientela da banche, finanziarie o compagnie assicurative, ma anche dalle imprese nei settori automotive, shipping o aviation.

Per questa ragione occorre prestare attenzione al rispetto della normativa europea sulla vessatorietà delle clausole, attuata in Italia dal Codice del Consumo ed elaborata a favore del consumatore, dato che gli consente di impugnare le clausole che potrebbero apparire squilibrate ottenendo che siano invalidate ed eliminate dal contratto.

In tali ipotesi, il giudice potrebbe dunque disapplicare le clausole predisposte a favore dell’impresa (ad es. quelle in tema di modifiche del contratto e/o del prezzo, limitazione di responsabilità e/o di eccezioni, recesso, penali, ecc.). Ma fino a che punto?

Qual è il limite al potere del giudice di modificare il contratto? Può il Tribunale verificare la vessatorietà non solo della clausola impugnata dal consumatore, ma anche delle altre disposizioni contrattuali?

A tali interrogativi ha risposto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) con la sentenza dell’11 marzo 2020, resa nella causa C511/17 relativa ad un contratto di mutuo ipotecario.

Nel caso esaminato, talune clausole del contratto di mutuo conferivano alla banca il diritto di modificare unilateralmente il contenuto del contratto ed il consumatore ne aveva contestato la vessatorietà ai sensi della normativa europea.

La questione è arrivata alla Corte di Giustizia proprio per stabilire quali fossero i confini del controllo del giudice sulla vessatorietà delle clausole contrattuali.

Precisamente, ci si chiedeva se il giudice nazionale dovesse verificare il carattere vessatorio delle sole clausole contestate dal consumatore, oppure se, presentato il ricorso in relazione ad alcune clausole, il giudice potesse indagare – di sua iniziativa – la vessatorietà anche di clausole diverse, che il consumatore non aveva censurato in giudizio.

Il tema non è di poco conto, poiché in base all’impostazione adottata si producono conseguenze molto diverse nei rapporti tra le parti.

Infatti, se i poteri di controllo del giudice sono limitatati alle clausole oggetto del ricorso del consumatore, l’impresa può concentrare le proprie difese in giudizio sulle previsioni contrattuali censurate dal cliente e i possibili esiti della causa risultano maggiormente prevedibili.

Se invece il giudice può spingersi a verificare la presenza di squilibrio contrattuale anche per clausole diverse, indipendentemente da quelle impugnate dal consumatore, lo scenario diviene più incerto. In tal caso, sarebbe opportuno che l’impresa si difendesse in maniera più corposa, anche su profili non contestati dal consumatore, per mitigare il rischio di ritrovarsi eventualmente vincolata – all’esito del giudizio – ad un contratto modificato su iniziativa del giudice.

Ebbene, la Corte di Giustizia ha chiarito, in proposito, che il controllo del giudice sulla vessatorietà non si estende a tutte le clausole del contratto, ma neppure si limita alle sole clausole censurate dal consumatore.

Il punto di equilibrio viene individuato dalla CGUE nelle clausole che risultano comunque connesse all’oggetto della controversia. Infatti, sebbene per tali clausole il consumatore non abbia lamentato alcuno squilibrio nella sua domanda giudiziale, il loro rapporto di connessione con le clausole oggetto di causa obbliga il giudice ad analizzarle autonomamente per verificarne la vessatorietà.

Al riguardo, la Corte ha precisato che il giudice:

  1. deve valutare la connessione in base all’oggetto della controversia, come delimitato da conclusioni e motivi delle parti, secondo un approccio sostanzialista;
  2. se ha seri dubbi sulla possibile vessatorietà delle clausole connesse, è tenuto a chiedere d’iniziativa alle parti di fornire i chiarimenti e i documenti necessari per valutarne il carattere vessatorio;
  3. dopo aver accertato d’iniziativa l’eventuale vessatorietà delle clausole connesse, deve informare le parti ed invitarle a discutere la questione in contraddittorio, poiché solo se il consumatore invoca il carattere vessatorio di tali clausole il giudice può disapplicarle.

Siccome nel caso esaminato venivano contestate clausole di modifica unilaterale del contratto, la Corte ha escluso che il giudice nazionale dovesse sindacare d’iniziativa anche la vessatorietà delle clausole relative ad attestazione notarile, risoluzione contrattuale e spese a carico del consumatore – escludendo, di fatto, il rapporto di connessione.

Tuttavia, alla luce della portata generale di tale sentenza, resa trasversalmente su tutti i rapporti tra consumatore e impresa, diventa ancora più importante – per qualsiasi impresa – rispettare le norme sulla vessatorietà del Codice del Consumo nella redazione della contrattualistica.

Accertarsi prima che le condizioni contrattuali predisposte non contrastino con tali norme potrebbe evitare a banche, finanziarie ed assicurazioni – ma più in generale, a qualunque seller o supplier – di sostenere ulteriori costi con la propria clientela, a causa del doppio rischio di modifica giudiziale dei contratti in senso sfavorevole per l’impresa e di condanna alle spese legali.

 

Articolo di Claudio Perrella e Daniele D’antonio

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