Riviste di settore, originalità e concorrenza sleale: quale margine di contestazione per l’editore “imitato”?
Con sentenza n. 5878 del 02/10/2020, le Sezioni Specializzate del Tribunale di Milano hanno chiarito, in una articolata motivazione, fino a che punto l’editore di una rivista di settore possa lamentare l’imitazione da parte di un concorrente che immetta sul mercato un prodotto contraddistinto da una testata molto simile e da contenuti in parte sovrapponibili a quelli del prodotto editoriale anteriore.
La decisione assume un rilievo particolare in un mercato editoriale particolarmente fitto, nel quale le differenze tra le riviste sono spesso minimali.
In primo luogo, il Tribunale ha ricordato che la testata di un periodico non costituisce opera dell’ingegno, anche se frutto di un pensiero originale, non avendo una funzione creativa ma assolvendo solo ad una funzione distintiva, sicché la sua tutelabilità va ponderata in relazione al rischio di confusione e associazione con prodotti analoghi. Pur in presenza di soluzioni non monopolizzabili (elementi puramente descrittivi e font non originali), il Tribunale ha ritenuto illecita la ripetizione delle componenti denominative e l’uso di grafiche e colori sovrapponibili, in assenza di ulteriori elementi che consentissero di conferire alla rivista della società convenuta una capacità individualizzante autonoma.
Il Collegio ha poi passato in rassegna gli ulteriori elementi di similitudine tra le due riviste, posto che l’attrice aveva lamentato la ripetizione indebita “della copertina, della sua grafica e del suo font, del suo formato, della sua struttura generale, del prezzo, del colore, della c.d. “auto-copertina”, del tipo di carta e dei caratteri utilizzati”, ricordando che spetta a chi invoca la tutela giudiziaria provare la novità e la notorietà della forma, al netto della standardizzazione e delle soluzioni esclusivamente funzionali.
In tal senso, la convenuta è stata in grado di provare l’esistenza di numerose “anteriorità distruttive”, ossia di soluzioni grafiche o editoriali adottate da terzi prima dell’attrice, tali da escludere “la novità o, quantomeno, l’originalità di alcune delle soluzioni qui azionate” dall’attrice. Al contrario, è stata invece accertata l’imitazione servile di alcune scelte e soluzioni – come il nome identico di alcune rubriche o l’uso di grafiche e cromatismi – che, suscitando un impatto simile e cagionando nel loro complesso un avvicinamento alla rivista azionata, devono ritenersi di carattere illecito.
Da ultimo, il Tribunale ha ritenuto che l’impiego da parte della convenuta di un indirizzo email sovrapponibile alla testata dell’attrice ed al suo anteriore nome a dominio comportasse un’illecita interferenza, creando un potenziale drenaggio di clientela.
Il Tribunale ha quindi accertato l’illiceità della condotta della convenuta, condannandola al risarcimento del danno in favore dell’attrice nella sua componente sia patrimoniale (sulla base del margine operativo lordo moltiplicato per ciascuna copia della rivista commercializzata dalla convenuta) sia non patrimoniale (quale danno reputazionale all’immagine imprenditoriale di operatore indipendente costruita nel tempo dall’attrice, lesa dall’interferenza illecita che ha accostato indebitamente il proprio periodico all’attività di un diretto concorrente).