Equo compenso, una norma ancora alla prova del mercato
La giusta remunerazione per le prestazioni professionali, o equo compenso, dal 20 maggio scorso, è entrata nell’ordinamento italiano. A dover applicare le norme per la corresponsione di adeguati emolumenti (fissati, per gli iscritti ad Ordini e Collegi, da appositi parametri ministeriali per le diverse categorie) le imprese bancarie e assicurative (e loro controllate e mandatarie), nonché le aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10 milioni di euro, ma anche la Pubblica amministrazione e le società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. Escluse, invece, le prestazioni effettuate per «le società veicolo di cartolarizzazione e quelle in favore degli agenti della riscossione». Gli Ordini e i Collegi potranno sia sanzionare i loro iscritti che acconsentiranno a ricevere pagamenti con somme più basse dei «paletti» ministeriali, sia promuovere una «class action» per difenderli. Sul tema si sono espressi nelle scorse settimane tutte le principali associati dei professionisti. Anche gli avvocati, interessati dalla legge, si sono divisi sul tema.