La rilevanza IVA dei transfer pricing adjustments
L’Agenzia delle Entrate chiarisce che gli aggiustamenti transfer pricing (TP) non sono automaticamente rilevanti ai fini IVA. È necessaria una valutazione case by case, considerando i seguenti requisiti:
- devono essere a titolo oneroso;
- riferirsi a cessioni di beni o servizi infragruppo soggette a IVA; e
- deve esistere un collegamento diretto tra le rettifiche e il corrispettivo originariamente pattuito.
In sintesi, la rilevanza IVA degli aggiustamenti di prezzo dipende dalla natura economica dell’operazione e dal rispetto dei requisiti previsti, richiedendo un’analisi approfondita di ogni singolo caso.
Con la risposta ad istanza di interpello n. 266 del 18 dicembre 2024, l’Agenzia delle Entrate si esprime nuovamente sul tema della rilevanza IVA dei cd. transfer pricing adjustments, materia già oggetto delle precedenti risposte 60/2018, 529/2021 e 884/2021.
La recente risposta ricorda, in primo luogo, la finalità perseguita dal transfer pricing, ossia la corretta distribuzione del reddito delle imprese di un gruppo multinazionale che svolgono prestazioni di servizi o cessioni di beni infragruppo.
La vicenda riguarda una società non residente ed identificata ai fini IVA in Italia che effettua acquisti intracomunitari e importazioni di beni, in seguito destinati alla lavorazione e ceduti – sotto forma di prodotti finiti – infine ad una consociata americana.
Il pagamento del corrispettivo avviene in due soluzioni; in un primo momento la società istante emette una fattura per un importo pari al 5 per cento del totale dovuto, per poi emettere, in un momento successivo, una fattura a consuntivo per il restante 95 per cento. Tale secondo importo non viene considerato rilevante ai fini IVA, in quanto reputato una mera integrazione del margine della controparte.
A tal proposito, la Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 26 aprile 2012 (cause riunite C-621/10 e C-129/11) stabiliva che, in osservanza dell’art. 73 della direttiva IVA, la base imponibile «…è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo. Tale corrispettivo costituisce il valore soggettivo, ossia realmente percepito, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi». L’articolo 73 cit. enuncia un principio cardine del diritto tributario, secondo cui non è consentita la riscossione di un tributo, a titolo di IVA, per un importo superiore rispetto a quanto percepito dal soggetto passivo.
Ciò che traspare dal suddetto intervento è che gli aggiustamenti di prezzo non concorrono in automatico alla determinazione della base imponibile IVA, e non esiste, quindi, una regola generale cui soggiace la totalità dei casi di TP adjustment, richiedendosi piuttosto un’accurata analisi di ciascuna fattispecie.
Riprendendo quanto affermato a livello unionale dal Comitato IVA (Working Paper n. 945 REV del 19 aprile 2018 e n. 923 del 28 febbraio 2017) e dal VAT Expert Group (VEG – organo consultivo della Commissione composto da esperti – VEG n. 071 rev2 del 18 aprile 2018), i cui chiarimenti venivano già richiamati nei menzionati documenti di prassi, l’Agenzia delle Entrate ricorda che i TP adjustment debbono considerarsi rilevanti ai fini IVA solo al verificarsi dei seguenti requisiti:
- sono a titolo oneroso (in denaro o in natura);
- fanno riferimento a individuate cessioni di beni o prestazioni di servizi infragruppo soggette ad IVA; e
- esiste un collegamento diretto tra le rettifiche e il corrispettivo originariamente pattuito per l’operazione infragruppo.
In relazione alla fattispecie oggetto di interpello, l’Amministrazione finanziaria ritiene, in definitiva, che la fattura emessa a consuntivo pari al 95 per cento del corrispettivo non possa ritenersi irrilevante ai fini IVA; è arduo, infatti, ritenere che il corrispettivo ivi indicato sia esclusivamente finalizzato ad “aggiustare” il margine operativo della controparte, rappresentando al contrario una porzione assolutamente marginale del corrispettivo (i.e., il solo 5 per cento) l’ammontare “effettivamente dovuto” dal cessionario – e dunque da assoggettare ad IVA – ai sensi dell’art. 13 del Decreto IVA.
Piuttosto, aggiunge l’Agenzia delle Entrate, occorrerebbe distinguere la parte del corrispettivo indicato nella seconda fattura (i.e., il 95 per cento) destinata ad aggiustare il margine operativo della controparte – la quale risulterebbe individualmente irrilevante ai fini IVA – da quella che invece funge da saldo dell’esportazione effettuata.
Non avendo l’istante fornito utili informazioni al riguardo, l’intero ammontare di tale operazione dovrebbe intendersi quale corrispettivo rilevante ai fini IVA, e ciò indipendentemente dal fatto che l’operazione risulti comunque non imponibile ai sensi dell’art. 8 del Decreto IVA.
Dalla disamina della risposta qui in commento nonché dei precedenti interventi richiamati, sia di matrice unionale che nazionale, traspare quindi che non sempre gli aggiustamenti di prezzo sono riconducibili a fattispecie rilevanti ai fini IVA, poiché è necessario effettuare un’analisi di ciascun caso concreto al fine di valutare l’integrazione dei requisiti per l’applicazione dell’imposta. A tale scopo, bisogna considerare le operazioni poste in essere tra le parti, i termini contrattuali e, infine, il corrispettivo della prestazione e/o cessione, per poi, solo successivamente, analizzare eventualmente le rettifica in materia di TP adjustment e i rispettivi riflessi in materia di IVA, con la conseguenza che la rettifica non sarà rilevante ai fini dell’imposta qualora sia effettuata al solo scopo di integrare il margine operativo della controparte.