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Greenwashing, per il Tribunale di Bari è legittimo l’uso di “green” in un marchio

Con ordinanza del 25 luglio 2023, il Tribunale di Bari ha deciso in via cautelare uno dei primi casi in materia di greenwashing, optando per un’interpretazione flessibile sull’uso delle rivendicazioni ambientali.

Una società attiva nella produzione di strutture per sistemi fotovoltaici aveva formulato varie contestazioni nei confronti di un concorrente, tra cui il compimento di atti ingannevoli dovuti all’uso della parola “green” all’interno dei segni distintivi che sarebbe stato illecito “in ragione della sua genericità, decettività e illegittima appropriazione di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un’immagine ‘verde’ in nessun modo riferibile a precise caratteristiche dei prodotti commercializzati” e ciò “non avendo mai chiarito quali [fossero] i benefici per l’ambiente perseguiti ed ottenuti con i propri prodotti”.

Dopo aver concesso inaudita altera parte l’inibitoria all’uso del termine “green”, il Giudice ha successivamente ritenuto che tale utilizzo non costituisse una pratica di greenwashing in ragione della compatibilità di tale aggettivo con il settore fotovoltaico volto, per sua natura, “alla produzione di energia pulita”. Per ciò solo, sarebbe quindi possibile accostare l’impresa ad un’immagine “verde”.

L’ordinanza è stata poi impugnata in sede di reclamo, sebbene senza contestazioni specifiche sui profili legati all’uso del termine “green” che si sono quindi consolidati.

La decisione del Tribunale di Bari si colloca tra i primi provvedimenti in punto di comunicazione ambientale ingannevole e si distingue per un approccio piuttosto elastico che, con l’entrata in vigore delle nuove normative europee, potrebbe dover cambiare radicalmente.

 

Cos’è il greenwashing?

Il greenwashing è un fenomeno che l’Unione Europea ha descritto come un’appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla costruzione di un’immagine aziendale ingannevolmente “verde” che consente di acquisire un illecito posizionamento sul mercato. In quanto tale, si tratta, dunque, di una condotta sanzionabile sia come concorrenza sleale sia come pratica commerciale scorretta poiché potenzialmente fuorviante per i consumatori.

L’ingannevolezza può derivare dall’uso di affermazioni pubblicitarie sulle qualità ambientali di prodotti o servizi che non corrispondono alla realtà o che, pur avendo caratteristiche sostenibili, non apportano un vantaggio concreto lungo l’intero ciclo di vita produttivo. Il greenwashing può manifestarsi attraverso dichiarazioni testuali, simboli, loghi, elementi grafici e persino l’uso di colori specifici nel packaging, nell’etichettatura o nella pubblicità.

Nell’ambito del Green Deal europeo, l’UE ha introdotto misure per contrastare il fenomeno, tra cui due nuove direttive: la Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori nella transizione verde (nota come Direttiva Greenwashing), già approvata e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 27 settembre 2026, e la Direttiva Green Claims, attualmente in fase di discussione.

 

Cosa potrà cambiare in futuro?

La Direttiva Greenwashing avrà un impatto significativo sulle strategie di marketing e sulla comunicazione aziendale poiché introdurrà vincoli più stringenti nell’ottica di un’informazione più chiara e trasparente in favore dei consumatori. Tra le novità principali, le imprese non potranno più utilizzare diciture ambientali generiche come “eco-friendly” o “green” se non in casi limitati; in ogni caso, le asserzioni dovranno inoltre essere precise, circostanziate e facilmente comprensibili.

Le imprese che oggi fanno uso di termini generici come “green” nei propri marchi, denominazioni sociali o materiali pubblicitari dovranno valutare attentamente la conformità delle loro comunicazioni con le nuove normative. L’inosservanza delle regole potrà comportare sanzioni pecuniarie significative, che potranno arrivare fino al 4% del fatturato annuo.

Peraltro, il quadro normativo attuale è sufficiente ad intervenire contro le pratiche di greenwashing. Ne è prova il recente provvedimento dell’AGCM che ha sanzionato per Euro 8 milioni un gruppo attivo nel settore del trasporto merci a seguito di una complessa istruttoria sul programma di sostenibilità ambientale implementato anche con il coinvolgimento delle società affiliate.

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