AdWords e violazione di marchio, si esprime il Tribunale di Milano
AdWords e violazione dei diritti suo marchio: i limiti alla responsabilità dell’inserzionista
Una recente pronuncia del Tribunale di Milano si esprime su una questione affrontata diverse volte nel corso degli ultimi anni, sia dai giudicanti nazionali che europei, a cui non sempre sono succedute decisioni uniformi.
Il caso affrontato dal Collegio del Tribunale di Milano il 23 ottobre 2014 riguarda la possibilità per un terzo non autorizzato, generalmente concorrente, di utilizzare un marchio di titolarità altrui attraverso un servizio d’inserzioni pubblicitarie di Google, il c.d. AdWords. Grazie al servizio di posizionamento a pagamento sopracitato, qualsiasi operatore economico ha la possibilità, mediante la scelta di una o più keywords, di far apparire tra i risultati di ricerca un link promozionale che rinvia al proprio sito (qualora la keyword scelta dall’inserzionista coincida con quella utilizzata dall’utente nella ricerca). La scelta della parola chiave da utilizzare viene effettuata direttamente dall’inserzionista ed utilizzata ai fini dell’indicizzazione che si vuole ottenere nei risultati di ricerca.
Nel caso di specie, viene utilizzato come keyword per il posizionamento in Rete un noto marchio il cui titolare è un terzo rispetto all’inserzionista, il quale, come accade spesso in questi casi, agisce in giudizio lamentando la violazione del proprio marchio. In particolare, come in casi simili precedenti, è emersa la questione relativa all’individuazione del soggetto responsabile per l’eventuale violazione del marchio altrui.
Il Collegio, per decidere in merito alla questione, ha ampiamento fatto ricorso ai principi enunciati più volte dalla Corte di Giustizia (si menzionano in particolare: sentenza 22/10/11 in C-323/09, Interflora; sentenza 23/3/10 in C-236/08 e C-238/08, Google France).
Afferma infatti la Corte che “nel caso del prestatore di un servizio di posizionamento, quest’ultimo consente ai propri clienti di usare segni identici o simili a marchi, senza fare egli stesso uso di detti segni”. Come conseguenza il Collegio afferma, in primis, che unico legittimato passivo sulle pretese di violazione del marchio è l’inserzionista concorrente che, nell’accedere al servizio di posizionamento a pagamento offerto dal gestore, l’ha prescelto come keyword.
Inoltre, altro punto nodale spiegato dal Collegio è che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente l’uso di keywords che reindirizzino ad un annuncio pubblicitario per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato. Tuttavia, tali keywords per il posizionamento non sono vietati laddove reindirizzino ad un link che non vada a compromettere le principali funzioni del marchio altrui, ossia – essenzialmente – quando l’uso di tali keywords non ingeneri confusione tra i prodotti o servizi offerti dal titolare del marchio usato come keyword e quelli del concorrente che ha utilizzato tale segno distintivo per promuovere i propri prodotti.
La decisione assunta dal Collegio ribalta integralmente la pronuncia di primo grado che considerava l’intermediario (e quindi non l’inserzionista) unico responsabile e, dunque, unico legittimato passivo per la lamentata violazione del marchio altrui operata tramite l’utilizzo di tale marchio come adwords da parte di un competitor.