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Calciomercato: come cambieranno i contratti dopo la sentenza della Corte UE?

Ha destato scalpore, per le implicazioni e conseguenze dirompenti sul mercato degli atleti professionisti, la decisione emessa dalla Corte di Giustizia UE 4.10.2024, relativamente al contenzioso proposto da un ex calciatore francese nei confronti di un noto club iscritto al massimo campionato russo.
L’atleta, che aveva sottoscritto un contratto di lavoro sportivo quadriennale, al termine del primo anno di contratto (a fronte della richiesta di riduzione dell’ingaggio) si era rifiutato di proseguire il rapporto.

La società russa si era rivolta alla camera di risoluzione delle controversie della FIFA, deducendo una violazione delle previsioni del Regolamento FIFA sul trasferimento dei calciatori e chiedendo la condanna al risarcimento dei danni connessi, essendosi prefigurato un recesso privo di giusta causa. La FIFA dava ragione al club, stabilendo che l’atleta avrebbe dovuto pagare un indennizzo di 10,5 milioni di euro.
Tale pretesa trae origine dall’art. 17 del “Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori” 22.03.2014, che prevede che “la parte che ha violato il contratto è tenuta al risarcimento”.

La norma prevede che l’indennità per inadempimento contrattuale è calcolata “tenendo conto della legge in vigore nel paese interessato, delle specificità dello sport e di eventuali altri criteri oggettivi. Tali criteri includono in particolare la retribuzione e gli altri benefici dovuti al calciatore in base al contratto”.
Inoltre, sempre la predetta norma prevede che “se un giocatore professionista è tenuto a pagare un risarcimento, il giocatore professionista e la sua nuova società saranno solidalmente responsabili del pagamento dello stesso. L’importo può essere stabilito nel contratto o concordato tra le parti”.
In base al Regolamento, sono inoltre irrogate sanzioni sportive nei confronti della società sportiva che ingaggia il giocatore e viene ritenuta inadempiente (in quanto di fatto “compartecipe” dell’interruzione del contratto). Vi è infatti una presunzione in danno di “qualsiasi nuova società che firmi un contratto di lavoro con un giocatore che ha risolto il suo precedente contratto di lavoro senza giusta causa”.
In conseguenza della propria decisione la FIFA sospendeva il calciatore per un anno, impedendogli di fatto ogni trasferimento presso altro club terzo (eventualmente interessato al suo cartellino); di seguito, il giocatore perdeva un ingaggio con un club belga, il quale si ritirava dalla trattativa temendo di essere tenuto a pagare gli importi dovuti dal calciatore, quale obbligato in solido.
Il calciatore decideva di ricorrere ad un tribunale belga, citando la FIFA e chiamando in causa la Corte di Giustizia UE.

Le rivendicazioni del giocatore hanno avuto ad oggetto, fra gli altri, una questione pregiudiziale rilevante, relativa alla compatibilità fra le regole FIFA sui trasferimenti dei giocatori e le previsioni del Trattato UE, in particolare gli articoli 45 (sulla libertà di circolazione dei lavoratori) e 101 (sul divieto di cartelli).
Fra le norme più discusse, vi è per l’appunto l’articolo 17 del regolamento FIFA, nella parte in cui prevede che se un giocatore risolve unilateralmente il contratto senza giusta causa, prima del termine di scadenza, il calciatore ed il club che intende ingaggiarlo, sono responsabili in solido per il pagamento dell’indennità in favore del club di provenienza.
Secondo la Corte UE tale norma risulta contraria al diritto dell’Unione, in quanto di fatto ostacola la libera circolazione dei calciatori professionisti che vogliano far evolvere la loro attività andando a lavorare per un nuovo club, stabilito nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione.
La previsione contribuisce a gravare sui giocatori e sui club che intendano ingaggiarli, rilevanti rischi patrimoniali, finanziari, “sportivi” e garantisce, al contrario, alla società beneficiaria, la certezza di trattenere i propri calciatori finché il contratto o la successione di contratti stipulati con gli stessi non siano terminati (fatta salva, prima della cessazione naturale, l’ipotesi in cui la stessa non decida di separarsene, nell’ambito di un recesso accettato dal calciatore o di un trasferimento negoziato con altra società e previo pagamento a quest’ultima di un compenso per il trasferimento).

Inoltre, le norme del Regolamento risultano idonee a restringere in modo generalizzato e drastico la concorrenza che “in loro assenza potrebbe contrapporre qualsiasi società di calcio professionistica stabilita in uno Stato membro a qualsiasi altra società di calcio professionistica stabilita in un altro Stato membro, per quanto riguarda il reclutamento di giocatori già ingaggiati da una determinata società”. Infatti, proprio in forza del Regolamento FIFA, il semplice fatto di ingaggiare un determinato giocatore espone la nuova società al rischio di essere tenuta a pagare un importo potenzialmente molto significativo e comunque non prevedibile.
Il percorso tracciato dalla sentenza è senz’altro dirompente, tuttavia non vi è alcun automatismo (seppur auspicato da molti addetti ai lavori ed in particolare dagli stessi procuratori sportivi) che preveda che i calciatori potranno d’ora in avanti non rispettare le scadenze contrattuali ed “accasarsi” a piacimento presso altro club. La sentenza chiarisce peraltro che i suoi effetti non riguardano situazioni in cui tutte le parti sono confinate all’interno di un unico Stato membro (ad esempio nel caso di club e calciatori che militano nel campionato italiano).

Tale pronuncia costringe tuttavia la FIFA a rivedere le proprie norme sui trasferimenti internazionali e, soprattutto, impone alle società di adottare strumenti efficaci per prevenire i rischi legati alla perdita di propri calciatori. Sarà in questo senso necessario intervenire sui contratti, inserendo specifiche clausole rescissorie o ipotesi di recesso, con opzioni di buy out, al fine di predeterminare, in fase di stipula, eventuali condizioni di risoluzione anticipata.

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