Cassazione sezione lavoro ordinanza n. 9006 del 1°aprile 2019: la piena consapevolezza del lavoratore rende non impugna...
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9006 dello scorso 1°aprile, ha chiarito che il verbale di conciliazione sottoscritto dal lavoratore in sede sindacale non può essere impugnato in considerazione del fatto che si presume, data la sede in cui avviene, che il lavoratore sia consapevole di ciò che ha firmato.
Nel caso in questione un agente, che lavorava presso una società, ha agito in giudizio contro quest’ultima al fine di ottenere la declaratoria di nullità o l’annullamento del verbale sottoscritto in sede sindacale, lamentando fosse affetto da vizi.
In primo grado il Tribunale di Palermo ha respinto la domanda del lavoratore ritenendo che il verbale fosse esente da vizi sia dal punto di vista della partecipazione sindacale sia riguardo la lamentata violenza morale. In secondo grado la Corte d’Appello di Palermo ha rafforzato quanto dedotto dal Giudice di prime cure, confermando che l’accordo stipulato tra le parti in sede sindacale aveva tutti i requisiti di validità ed efficacia specifici dell’accordo transattivo.
Il lavoratore ha, quindi, presentato Ricorso in Cassazione sulla base di cinque motivi che la Suprema Corte ha ritenuto infondati. In particolare, il ricorrente nel primo motivo ha contestato una errata applicazione degli art. 2113 c.c., relativo alle rinunce nelle transazioni, art. 1965 c.c., riguardante la transazione, e l’art. 1418 c.c., sulle cause di nullità del contratto, rilevando come l’accordo transattivo debba essere considerato invalido e che quindi la nullità della transazione avrebbe dovuto rendere inapplicabile l’art. 2113 c.c. La Corte ha ritenuto infondate tale deduzioni del ricorrente affermando che “le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali – della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale – sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 cod. civ.” , richiamando così anche una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione del 23 ottobre 2013, n. 24024.
La Corte nell’esporre le motivazioni dell’infondatezza dei motivi proposti dal ricorrente ha ricordato, infine, che l’art. 1970 c.c. prevede che la transazione non possa essere rescissa per causa di lesione in quanto la determinazione dei reciproci sacrifici e dei vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, poiché è rimessa all’autonomia negoziale delle parti. Il giudice, pertanto, deve accertare la reale volontà negoziale delle parti e non valutarne la congruità delle determinazioni rispetto alle reciproche concessioni.
Per tali ragioni i giudici della Cassazione nell’ordinanza in questione hanno affermato che l’accordo conciliativo è da considerarsi esente da vizi quando il verbale, sottoscritto in sede sindacale, contiene tutti gli elementi essenziali richiesti dalla legge ed è stata accertata e verificata la comune volontà negoziale delle parti. Di conseguenza se il rappresentante dei lavoratori in sede di conciliazione sindacale illustra i diritti a cui il lavoratore sta rinunciando e le perdite che ne potranno derivare e quindi il lavoratore è pienamente conscio di ciò che sta firmando, la conciliazione è efficace e non può essere impugnata ed a nulla rileva se c’è una sproporzione tra le concessioni reciprocamente fatte tra le parti.