COVID 19: Stato e regioni al nuovo riparto di competenze Primi commenti al d.l. n. 19 del 25 marzo 2020
Con il decreto legge n. 19/2020 entrato in vigore oggi, 26 marzo 2020, il Governo ha provveduto al riassetto delle competenze e dei poteri in materia di adozione delle misure di contrasto alla diffusione del virus COVID 19, in parziale novella del precedente riparto di cui all’art. 3 del d.l. n. 6/2020.
Il decreto contiene delle conferme, ma anche delle significative novità e pone alcuni quesiti, cui si proverà a rispondere.
L’articolo 1 del nuovo decreto elenca innanzitutto le misure di contenimento, che il Governo è autorizzato ad adottare con le modalità attuative previste dai successivi articoli. Si tratta, sostanzialmente, di un riepilogo di tutte le misure via via introdotte con i DPCM di attuazione del d.l. n. 6/2020 e, in alcuni casi, con le ordinanze regionali già adottate.
L’articolo 2 ripropone ai commi 1 e 2 sostanzialmente quanto già previsto nella precedente disciplina, attribuendo al Governo la competenza principale ad attuare le misure di contrasto, e segnatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella forma della decretazione d’urgenza, sentiti una serie di soggetti.
Qui si nota una prima novità, dal momento che i Decreti possono essere adottati non solo su proposta del Ministero della Salute, ma anche su proposta dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui le misure riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero su proposta del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui dette misure riguardino l’intero territorio nazionale.
L’art. 2, comma 3 e il periodo transitorio: il primo quesito
Il comma 3 dell’art. 2 detta invece una disciplina transitoria, necessaria per “traghettare” nel nuovo ordinamento le disposizioni emanate nel vigore della vecchia disciplina.
Per comprendere (rectius, interpretare) correttamente la portata della norma è opportuno riportarne qui il testo: “Sono fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, ovvero ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Continuano ad applicarsi nei termini originariamente previsti le misure gia’ adottate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati in data 8 marzo 2020, 9 marzo 2020, 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020 per come ancora vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Le altre misure, ancora vigenti alla stessa data continuano ad applicarsi nel limite di ulteriori dieci giorni.”
La norma fa salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati “sulla base dei decreti e delle ordinanze…”. I primi sono specificamente elencati (sono i DPCM in data 8, 9, 11 e 22 marzo) mentre le ordinanze dovrebbero essere quelle regionali, visto il richiamo all’art. 32 della legge n. 833/11978.
Se così è, l’ultimo paragrafo, statuendo che “le altre misure” (le ordinanze regionali) “continuano ad applicarsi nel limite di ulteriori dieci giorni.” fa sì che per dieci giorni dalla pubblicazione del decreto (quindi, sino al 5 aprile 2020) saranno in vigore sia i DPCM di marzo, sia le ordinanze regionali.
La norma però non dice, in caso di contrasto tra le disposizioni statali e quelle regionali, quali di esse prevalgano.
Il primo quesito che pone il nuovo decreto, pertanto, è quale disciplina si applichi nel periodo transitorio di cui al terzo comma dell’art. 2 (che va, come si è detto, dal 26/3 al 5/4).
L’art. 3, le nuove competenze regionali a regime e il secondo quesito
L’art. 3 del decreto legge prevede poi che “Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.”
Nella sua parte iniziale la previsione sembra ancora considerare la competenza regionale come residuale, esercitabile solo “nelle more della adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Nel prosieguo, però, sembra introdursi una possibilità nuova, assegnandosi alle regioni il potere di dettare misure “ulteriormente restrittive”: si deve ritenere quindi che le regioni possano adottare misure che, per essere “ulteriormente” restrittive, non possono che essere diverse da altre misure con le quali si confrontino, e queste non possono che essere quelle contenute in DPCM già emanati, dalle quali le regioni si discosterebbero.
Il secondo quesito posto dal decreto consiste pertanto nella domanda se sia possibile per le regioni dettare disposizioni non solo “nelle more dei DPCM”, ma anche in senso difforme a DPCM già emanati.
La risposta al primo quesito
Non c’è dubbio che la disorganica formulazione del terzo comma ponga seri problemi nella individuazione della sua portata e in particolare nella risposta al quesito sulla perdurante applicabilità delle ordinanze regionali emanate nel vigore del precedente d.l. 6/2020.
Provando a dare una risposta al primo quesito, si deve muovere dalla considerazione che, qualora il legislatore non avesse voluto preservare la validità delle ordinanze regionali, non le avrebbe citate tra i provvedimenti “fatti salvi”.
Al tempo stesso, non si può ritenere che ciò sia avvenuto solo per reiterare nel periodo transitorio lo stesso contrasto tra le fonti che aveva caratterizzato il periodo precedente all’entrata in vigore del nuovo decreto.
Se si conviene con queste premesse, si deve concludere nel senso che il legislatore abbia voluto mantenere ferme le determinazioni adottate dalle regioni, seppure con efficacia temporale limitata ai dieci giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, e quindi sino al 5 aprile 2020.
Anche in questo caso, peraltro, si deve ritenere che l’eventuale emanazione di nuovi DPCM in questo periodo transitorio possa determinare il superamento delle previgenti ordinanze regionali.
La risposta al secondo quesito
Pur con una previsione infelice, l’art. 3 del decreto n. 19/2020 sembra doversi interpretare non solo nel senso della possibilità per le regioni di dettare disposizioni in materie non disciplinate, o non ancora disciplinate, dai decreti governativi, ma anche in difformità da essi.
L’esercizio di tale potere è vincolato alla sussistenza di tre condizioni:
- l’esistenza di “specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario” verificatesi nel territorio regionale o in una parte di esso
- che si verta in materie di competenza regionale;
- che le misure non riguardino attività produttive e di rilevanza strategica pe l’economia nazionale.
Tali ordinanze sono poi sottoposte ad un limite temporale di efficacia, restando valide solo “fino alla adozione di nuovi DPCM che dovessero disporre diversamente”.
Anche in riferimento a questa ultima locuzione sorge peraltro un dubbio, ovvero se le ordinanze debbano cedere ai nuovi DPCM in ogni caso, oppure solo se questi ultimi contengano misure pari o ancora più restrittive di quelle regionali.
A questo dubbio si deve rispondere evidenziando la lettera della legge, che si riferisce a nuovi DPCM che dovessero disporre “diversamente”: quindi, non necessariamente in senso più rigoroso, ma solo “diversamente”.
Conclusioni: il nuovo riparto di competenze a regime e la disciplina transitoria
Dal d.l. n. 19/2020 esce pertanto un riparto di competenze che si presenta parzialmente diverso da quello precedente.
A regime, infatti, alle regioni è infatti consentito di adottare misure più restrittive di quelle contenute nei DPCM, seppure alle condizioni e con le limitazioni di materia sopra indicati. Se poi il Governo dovesse ritenere tali disposizioni non idonee o non giustificate, potrebbe determinarne la cessazione dell’efficacia mediante l’emanazione di DPCM che dispongano diversamente.
Nel periodo transitorio, che durerà sino al 5 aprile 2020, le ordinanze regionali attualmente in vigore resteranno efficaci nelle parti più restrittive rispetto ai DPCM già emanati: anche in questo caso, tale efficacia potrebbe venir meno con l’emanazione di nuovi DPCM che dispongano diversamente.
Altre disposizioni
Merita di essere segnalato anche che il decreto vieta ai Sindaci di adottare in materia ordinanze contingibili e urgenti in contrasto con le misure statali e riforma altresì l’intero impianto sanzionatorio, sia amministrativo, sia penale.