Decreto Rilancio e procedure di trasferimento d’azienda: sempre più strategico il raggiungimento di un accordo con i ...
Il 18 luglio 2020 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 77 di conversione, con modificazioni, del c.d. Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Fra queste è stato inserito il comma 1bis all’art. 80, norma che a propria volta contiene modifiche all’articolo 46 del D.L. 18/2020, convertito con Legge n.27/2020, che prevede un vero e proprio “divieto” di licenziamento nelle ipotesi di giustificato motivo oggettivo e di sospensione delle procedure di licenziamento collettivo.
Il predetto comma 1-bis interviene sulla procedura di cui all’art 47 co. 2 Legge 428/1990, che disciplina le ipotesi di trasferimento d’azienda o di un suo ramo, ai sensi dell’art. 2112 c.c.
Come noto la stessa impone al cedente ed al cessionario di dare comunicazione preventiva scritta, almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento, alle rappresentanze sindacali: della data del trasferimento, dei motivi e delle conseguenze giuridiche economiche e sociali per i lavoratori coinvolti, delle eventuali misure in loro favore.
La procedura – nella sua modalità “ordinaria” – prevede un termine per le organizzazioni sindacali di sette giorni (con decorrenza dal ricevimento della comunicazione di apertura) per richiedere il c.d. esame congiunto, mentre la procedura si intende comunque esaurita (anche nel caso di mancato raggiungimento di un accordo) qualora siano decorsi dieci giorni dall’inizio della fase di consultazione.
La procedura prevista ex art. 47 co. 2 prevedeva dunque un arco temporale massimo di 24 giorni, così ripartiti: 7 giorni per la richiesta da parte delle organizzazioni sindacali; 7 giorni per la convocazione da parte del cedente e cessionario ai fini dell’esame congiunto; 10 giorni quale termine massimo per l’esperimento della fase di consultazione.
Il suddetto co. 1-bis dispone invece che “fino al 17 agosto 2020 la procedura di cui all’articolo 47, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, nel caso in cui non sia stato raggiunto un accordo, non può avere una durata inferiore a quarantacinque giorni”.
La nuova disposizione allunga dunque la durata dell’esame congiunto previsto in caso di trasferimento di azienda, introducendo una durata minima di 45 giorni, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, specificando che tale correttivo riguarda le procedure in corso fino al 17 Agosto 2020.
Per come formulata, la norma si riferisce espressamente all’intera procedura, pertanto i 45 giorni decorreranno dalla comunicazione iniziale del cedente e cessionario alle organizzazioni sindacali. Sotto questo profilo sarebbe stato preferibile un intervento legislativo volto alla modifica solo dell’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 47 della legge n. 428/1990 (limitando il tutto alle consultazioni).
Tale modifica non interviene ovviamente in caso di raggiungimento di un accordo.
Tuttavia, la ratio e la reale portata innovativa della norma ci sembrano quantomeno “discutibili”. Ciò anche in considerazione della limitata portata temporale della norma e delle finalità squisitamente “dilatorie” che la stessa assume con riferimento alle procedure in corso.
La novità è destinata a trovare applicazione per i trasferimenti già avviati e per i quali non sia stato raggiunto un accordo al 18 luglio u.s. (data di entrata in vigore della Legge n. 77) e ovviamente per i trasferimenti che verranno instaurati da qui al prossimo 17 agosto e per i quali non si raggiungesse alcun accordo con le organizzazioni sindacali.
La modifica introdotta ex co. 1 bis assume un impatto “defatigatorio” su operazioni complesse in corso di pandemia e si colloca nel solco già tracciato dal Legislatore con riferimento al blocco dei licenziamenti, favorendo di fatto un ulteriore “congelamento” delle operazioni societarie e dei processi di riorganizzazione, allo scopo di limitare ogni impatto sui livelli occupazionali e la forza lavoro (alimentando tuttavia l’attuale situazione di “stallo” e contribuendo a posticipare la auspicata e necessaria fase di “rilancio” del Paese e dell’economia).
Peraltro la norma – nelle intenzioni del Legislatore volta ad incentivare il raggiungimento di accordi con le organizzazioni sindacali – finisce indirettamente per rafforzarne il potere negoziale, quasi a dire … la circolazione dell’azienda e/o di un suo ramo può dirsi in linea con le finalità di “rilancio”, solo se effettivamente oggetto di condivisione e intesa con le parti sociali.
Ancora una volta uno strumento di difficile interpretazione e lettura, che certamente non contribuisce ad agevolare le aziende in questa delicata fase di gestione, pianificazione e (auspichiamo) ripresa della produzione.