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Fanno sul serio?

Avete notato? In questa pausa agostana quando tutta l’Italia, nonostante la crisi, si ferma e una gran parte del mondo continua ad andare avanti, nel drammatico bombardamento di tragiche notizie dal Kurdistan, dalla striscia di Gaza e dall’Ucraina, sulla stampa americana, con cadenza settimanale, appare sempre un articolo con taglio basso, non urlato ma impaginato in prima pagina, di nuove iniziative del big players della Rete. Soprattutto il team di Facebook è stato protagonista di una serie di scoop non banali. Testimonianze concrete di un attivismo frenetico che continua a caratterizzare il grande momento di turbolenza del Web.

Proviamo a ricapitolare la scansione dei nuovi progetti comunicati da Facebook negli ultimi 20 giorni. Si è partiti da una serie di notizie mirate a dimostrare che il social network di Menlo Park, CA, si è posto l’obiettivo di curare di più la privacy dei propri clienti. È stata annunciata l’instaurazione di un sistema di sicurezza basato su principi di rispetto del consenso dei singoli utenti molto più ispirato ai format normativi europei che non a quelli più “flessibili” americani. La settimana dopo,  proprio i ricercatori, protagonisti della furibonda polemica scoppiata al momento in cui è venuta a galla la manipolazione emotiva realizzata da Facebook a 700.000 dei propri utenti, hanno voluto fare marcia indietro denunciando la necessità dell’apertura di un confronto pubblico e legislativo sulla definizione e condivisione di regole del gioco non solo giuridiche ma anche etiche in materia di realizzazioni di ricerche sui comportamenti degli iscritti al social network americano. Una scelta mediatica importante soprattutto perché deliberata dal protagonista di un caso, appunto quello della manipolazione delle timeline dei profili, che aveva scatenato vivaci proteste contro il cinismo e la spregiudicatezza della società di Zuckerberg. 

E ancora: Youtube ha dichiarato di aver inserito nel proprio software un format che segnala, a causa del contenuto di alcuni filmati, che gli stessi sono vietati ai minori. Proprio oggi Facebook ha annunciato di voler aiutare i propri utenti a selezionare le notizie vere da quelle false e/ comunque oggetto di satira e/o di provocazione politica o commerciale. Secondo quanto diffuso da Menlo Park, comparirà sui messaggi non reali ma manipolati, una dizione grafica con la scritta “satira”, un po’ alla stregua di quei super che compaiono durante le trasmissioni televisive sui teleschermi in basso e segnalano agli utenti che l’oggetto della trasmissione in quel momento diffusa è pubblicitario. 

In questa onda lunga di interventi mirati a “riverginare” l’immagine dei big players dei social network, si è inserita anche Twitter che, sul delicatissimo tema dei videogiochi per bimbi, apparentemente gratuiti ma poi in realtà sempre più onerosi per il portafoglio dei genitori….latitanti, ha adottato un sistema di immediata cancellazione dei siti che promuovono pubblicità ingannevole rispetto alla natura gratuita del videogioco proposto. 

Sembrerebbe dunque che questo agosto 2014 rappresenti un giro di boa importante nell’evoluzione legalitaria della web community. 

Qualche dubbio in realtà rimane seppur coniugato con la speranza di adeguate e convincenti risposte comportamentali dei big player dei social network. Perché ci permettiamo di sollevare qualche perplessità rispetto a questa operazione di riposizionamento dell’immagine dei vari protagonisti del web? Perché, contestualmente a questa rappresentazione di iniziative mirate ai fini sopra esposti, siamo venuti a conoscenza di una circostanza non sorprendente dal punto di vista del business ma che apre qualche scenario di dubbio rispetto alla linearità e buona fede di tale strategia. Come abbiamo raccontato proprio sulle colonne di RepMag, è in corso ormai da alcuni mesi la vera e propria campagna di sensibilizzazione da parte di team di specialisti delle singole firms per convincere gli investitori in pubblicità della novità e innovazione di una campagna pubblicitaria di prodotti o servizi diffusa attraverso i social network. Le ragioni ci sono state ampiamente spiegate e sono di facilissima comprensione: rispetto ad un investimento pubblicitario in un media tradizionale e generalista come sono la maggior parte di quelli esistenti nel mondo offline, l’efficienza in termini di costo beneficio di un investimento sui social media – secondo questo teorema – non ha eguali: infatti i social media, avendo acquisito tutti i profili dei propri iscritti, possono offrire agli inserzionisti, in stretta correlazione con i loro prodotti o i loro servizi, una pianificazione mirata che va a colpire esattamente il target di coloro che hanno già comprato, comprano e immaginano quindi di ripetere l’acquisto di quel prodotto. Forse il costo della pubblicità potrebbe essere considerato più oneroso rispetto a quello dei media tradizionali ma i commerciali del social network dimostrano facilmente che il poter sparare i propri messaggi con delle pallottole che colpiscono sicuramente il bersaglio già potenzialmente predisposto a quel tipo di acquisto, è come pescare le trote in un laghetto artificiale dove è impossibile non metterle all’amo. 

Il dubbio allora che ci assale è il seguente, ripetiamo pronti e speranzosi di essere smentiti dai diretti interessati: non è che gli strateghi di Facebook e compagnia cantante da un lato mediaticamente si riposizionano la reputazione diventando seri, garantisti dei diritti dei propri iscritti, legalitari nel rispetto della normativa e poi, contemporaneamente, non cercano di realizzare monetariamente quell’avviamento costituito da una registrazione di tutte le nostre scelte di acquisto fatte negli ultimi anni e debitamente registrate e conservate nel Big Data, al di là di ogni aspetto legale poetico?

E ancora: perché, se si vogliono davvero mettere le mani nel “fango” delle cose che non vanno in internet, non si affronta anche il tema dei fake follower, quegli “amici” fittizi creati solo per dimostrare un traffico di utenti enorme e non corrispondente alla realtà? Perché non si denuncia apertamente che molti degli operatori che si vendono come punti di riferimento di migliaia di follower, nella realtà sono visitati ed utilizzati da una percentuale che può scendere addirittura fino al 20% dei dati pubblicizzati? Ma non è finita: non è che i big players, acquisita più o meno legittimamente una posizione dominante sul mercato (basti pensare al miliardo e trecento milioni di utenti di Facebook), non vogliano proprio da ora inserire una serie di regole del gioco molto più rigorose e tali da rappresentare una barriera d’accesso per i nuovi competitors?

Se ci fosse davvero la volontà di iniziare una operazione di pulizia della rete, gli strumenti ci sarebbero: bisognerebbe soltanto metterli in pratica. E per non limitarci ad una facile critica dall’esterno, accettiamo la sfida e ci rendiamo promotori di una proposta di governance nel sistema digitale che potrebbe avviare, sulla scorta di esperienze estremamente positive già accadute nel mondo dell’off-line, un percorso virtuoso sovranazionale e di immediata repressione ed emarginazione degli operatori e degli utenti sleali.

LA PROPOSTA

La giustizia ordinaria, anche in Stati in cui il sistema giudiziario funziona molto meglio del nostro, sarà sempre soccombente ed in ritardo rispetto alla velocità di consumazione degli illeciti nel mondo del web. Dobbiamo prenderne atto e pensare a qualche altro format che ci aiuti a sorvegliare e governare meglio tutto il sistema a livello mondiale. Da questa considerazione nasce una proposta banalmente recuperata da un format già esistente internazionalmente e che proprio in campo pubblicitario, ad esempio, ha dato brillanti risultati in termini di monitoraggio e repressione degli illeciti. Proviamo a sintetizzarla così: i grandi operatori del settore, per primi, per dare il buon esempio ed innescare il processo virtuoso, costituiscono un ente no profit internazionale che abbia il compito da un lato di autodisciplinare le regole del gioco di internet, e dall’altro codifichi una procedura con enforcement sovranazionale che possa in brevissimo tempo reprimere illeciti ed abusi. I soggetti  promotori (con l’auspicio, che poi, a seguire il numero dei partecipante al club dei “buoni e seri” aumenti nel tempo fino a ricomprendere il maggior numero dei player del mercato) dovrebbero condividere un codice di autodisciplina strutturato con alcuni principi generali (tipo: rispetto di un certo livello della privacy degli users; la lotta contro la pubblicità ingannevole; la battaglia contro le derive usate dai fake follower o dai trolls ecc) e magari alcune regole specifiche per alcuni settori merceologici bisognosi di regolamentazione ad hoc. Dovrebbero poi immaginare la costituzione di un organo giudicante sovranazionale, sul tipo del nostro Giurì della pubblicità, che in una sede che potrebbe ruotare ogni enne anni in diversi Paesi del mondo, dovrebbe essere costituito da esperti con professionalità nel mondo giuridico, tecnologico, psicologico e comunicazionale. Proprio per rappresentare tutti i variegati approcci culturali a questa materia esistenti nel mondo, la composizione del Giurì dovrebbe prevedere esperti proveniente dal mondo americano, altri dal mondo europeo, altri ancora dai Paesi emergenti. Tutti i soggetti promotori e poi comunque firmatari della piattaforma autodisciplinare, dovrebbero impegnarsi giuridicamente a rispettare immediatamente le decisioni del Giurì, inibendo nei propri siti, la diffusione dei messaggi ritenuti illeciti dall’organo giudicante. Tale autodisciplina dovrebbe riguardare, almeno inizialmente, soltanto la fase cautelare, quella d’urgenza, quella che, su istanza di parte e/o d’ufficio, tende a valutare ed eventualmente inibire, nel giro di pochi giorni, un prospettato illecito. Tutta la procedura potrebbe essere attuata online con un’evidente efficienza in termini di tempi e di costi. La parte soccombente, nella nostra idea tutta da approfondire, potrebbe, a quel punto, adire una autorità giudiziaria ordinaria, secondo una disciplina della competenza territoriale da condividere (cosa complessa ma non impossibile) in modo tale da avere poi tutto il tempo e tutti i diritti per poter sperare di ribaltare il giudizio reso in via d’urgenza dal Giurì. 

Tenendo conto che a livello europeo esiste già un organismo sovranazionale che associa tutte le autodiscipline nazionali e che, in molti Paesi del mondo, il self regulation system non solo è auspicato, ma è applicato da anni con soddisfazione da tutte le parti in causa, la proposta così come provocatoriamente lanciata su queste colonne non dovrebbe rappresentare una mission impossible.

Il tema vero è probabilmente un altro: ma i grandi giocatori nel mondo della rete vogliono davvero, in questo momento storico in cui stanno per monetizzare gli investimenti effettuati, abbandonare il Far West per darsi delle regole del gioco chiare, certe e soprattutto verificabili e sanzionabili? 

Questo è un po’ il dilemma di questi nostri tempi. Questa potrebbe essere una exit strategy alla turbolenza denunciata da molti analisti del settore.

Vediamo, alla prova dei fatti, che tipo di reazioni potranno scatenare.

Meditate gente, meditate.

 

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