Fattura elettronica e decreto ingiuntivo: verso il superamento dell’obbligo di produrre i registri contabili (…o for...
Diverse pronunce di merito sostengono che la fattura elettronica rappresenti titolo idoneo e di per sé sufficiente per l’emissione del decreto ingiuntivo, senza obbligo per il creditore di produrre in giudizio l’estratto autentico delle scritture contabili. Vediamo perché.
Come noto, per ottenere un’ingiunzione di pagamento, il creditore deve dimostrare in giudizio l’esistenza del proprio diritto di credito, fornendo prova scritta. Ai sensi dell’art. 634, c.2, c.p.c., sono considerate prove scritte dei crediti degli imprenditori e dei lavoratori autonomi gli estratti autentici delle loro scritture contabili, purché regolarmente tenute e autenticate da notaio.
Dunque, fino a prima dell’obbligo di fatturazione elettronica, il ceditore interessato ad ottenere un decreto ingiuntivo era pacificamente tenuto a produrre in giudizio le fatture cartacee, accompagnate dall’estratto notarile autentico del registro su cui tali fatture erano annotate, al fine di certificare la conformità dei documenti prodotti agli originali.
A partire dall’1 gennaio 2019, con l’estensione dell’obbligo della fatturazione elettronica anche agli scambi di beni o servizi tra privati, diversi Tribunali hanno considerato le “e-fatture” come documenti sufficienti a fondare l’emissione del decreto, bypassando il deposito dei registri (Trib. Verona, 29.11.2019; Trib. Padova, 9.8.2019). I motivi sono semplici e pienamente condivisibili.
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento n. 89757/2018, infatti, il Sistema di Interscambio (SDI), che gestisce la fatturazione elettronica, genera documenti in formato XML privi di funzionalità (macroistruzioni o codici eseguibili) che possano portare a una successiva modifica dei dati ivi rappresentati, a garanzia della loro autenticità ed immodificabilità. Inoltre, lo SDI effettua un controllo sulla validità del certificato di firma del documento, scartando il file, in caso di esito negativo di tale controllo, con apposita “ricevuta di scarto”.
In sostanza, dunque, i documenti generati attraverso lo SDI non sono semplici “copie informatiche di documenti informatici” bensì “duplicati informatici”, ai sensi del Codice dell’Amministrazione Digitale (art. 1, comma 1, lettera l), quinquies del D. Lgs. n. 82/2005) e dunque documenti assolutamente indistinguibili dai loro originali, potendo peraltro essere scaricati da “fonte/terzo qualificato” come l’Agenzia delle Entrate. Questo è sufficiente a rendere superfluo il controllo di autenticità attraverso il confronto con i registri autenticati.
Senza considerare che l’art. 1, comma 3-ter, D.Lgs. 127/2015 esonera i soggetti tenuti ad emettere fatture elettroniche tramite SDI dall’obbligo di annotazione delle fatture nei registri contabili, proprio perché l’Amministrazione Finanziaria è in grado di acquisire attraverso procedure informatiche le informazioni destinate a tali scritture. Sarebbe dunque paradossale continuare ad addossare a tali soggetti un obbligo di tenuta dei predetti registri e, ancor di più, di esibizione in giudizio ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo.
Questo orientamento “progressista” non può tuttavia ritenersi univoco, considerate le pronunce, anche recenti, di segno opposto che ancora oggi subordinano l’emissione dell’ingiunzione di pagamento alla produzione dell’estratto autentico delle scritture contabili, sia ai fini dell’attestazione di conformità delle fatture agli originali, sia ai fini della regolare tenuta dei registri o delle scritture (Trib. Vicenza 25.10.2019; Trib. Padova 25.5.2020).