Il recepimento della CSRD in Italia: obblighi, sanzioni e sinergie con la CSDDD
Lo scorso 10 settembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo 125/2024 (di seguito, “Decreto”), con cui l’Italia ha recepito ufficialmente la Direttiva 2022/2464/UE (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD). La CSRD, che ha sostituito la precedente Direttiva 2014/95/UE (Non-Financial Reporting Directive – NFRD) recepita in Italia tramite D. Lgs 254/2016, estende in maniera significativa l’ambito di applicazione e i requisiti di trasparenza richiesti alle imprese sulle tematiche ambientali, sociali e di governance (di seguito, “ESG”).
Ambito di applicazione del decreto
Il Decreto si applica a tutte le grandi imprese[1] e alle PMI quotate nei mercati regolamentati dell’Unione Europea, incluse le società madri di gruppi di grandi dimensioni e le imprese di Paesi terzi con operazioni rilevanti in Italia.
Infatti, ai sensi dell’articolo 4 del Decreto, le società madri di gruppi di grandi dimensioni sono tenute a fornire una rendicontazione consolidata di sostenibilità, la quale deve includere informazioni complete sull’impatto delle attività del gruppo nel suo complesso su questioni ESG, nonché sugli effetti che tali questioni possono avere sulle performance del gruppo. Le informazioni richieste per i gruppi societari sono sostanzialmente le stesse previste per le singole imprese, come stabilito dall’articolo 3 del Decreto, con l’estensione dei requisiti al livello consolidato, ossia all’intero gruppo di imprese. Più in particolare, le informazioni comprendono una descrizione del modello e della strategia aziendale del gruppo, i rischi e le opportunità legati alla sostenibilità, gli obiettivi specifici (inclusi quelli di riduzione delle emissioni), il ruolo degli organi amministrativi, le politiche di sostenibilità adottate e le principali azioni intraprese per gestire rischi e impatti negativi lungo la catena del valore. Le società madri devono inoltre descrivere le modalità con cui il gruppo si prepara alla transizione verso un’economia sostenibile, assicurando che tutte le informazioni siano coerenti e in linea con gli standard UE.
Invece, per quanto riguarda le imprese di Paesi terzi che svolgono attività significative nell’Unione Europea, il Decreto impone loro l’obbligo di pubblicare una relazione sulla sostenibilità conforme agli standard UE o riconosciuta come equivalente. Questo vincolo si applica alle multinazionali extraeuropee che, attraverso le loro controllate con sede nell’UE, generano ricavi superiori a 150 milioni di euro (o 40 milioni per le succursali). superiori a 150 milioni di euro (o 40 milioni per le succursali). L’obiettivo è assicurare che anche queste imprese mantengano standard di trasparenza e sostenibilità elevati e uniformi, riducendo le asimmetrie informative rispetto alle imprese con sede all’interno dell’Unione.
La principale novità della Direttiva è l’estensione del campo di applicazione anche alle PMI quotate (con la sola eccezione delle microimprese), che erano precedentemente escluse dal regime della Direttiva NFRD.
Il Decreto stabilisce specificamente che le aziende interessate dovranno preparare una relazione di sostenibilità che sia parte integrante della relazione sulla gestione aziendale, da redigersi in formato XHTML con marcature XBRL, in modo tale da garantire la fruibilità dei dati all’interno di quello che sarà il Punto di Accesso Unico Europeo (European Single Access Point – ESAP) attualmente in fase di realizzazione.
Obblighi di rendicontazione
Le imprese soggette all’obbligo di rendicontazione, ai sensi della CSRD, devono fornire informazioni dettagliate riguardanti:
- il modello di business e la strategia aziendale: ogni impresa dovrà fornire una descrizione accurata del proprio modello di business, evidenziando la resilienza rispetto ai rischi e alle opportunità legate alla sostenibilità. Questo include i piani di transizione verso un’economia sostenibile, con particolare riferimento alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e agli obiettivi di limitazione del riscaldamento globale in linea con gli Accordi di Parigi;
- gli obiettivi e i progressi: sarà necessario indicare gli obiettivi temporali fissati in relazione alle questioni di sostenibilità, come la riduzione delle emissioni almeno entro il 2030 e il 2050. Oltre a una descrizione dei progressi raggiunti, le imprese dovranno chiarire se tali obiettivi ambientali si basano su prove scientifiche concluse e condivise;
- l’impatto sugli stakeholder: le imprese saranno tenute a dimostrare come il loro modello e la loro strategia aziendale tengano conto delle esigenze degli stakeholder, ovvero i portatori di interesse. Saranno inoltre richieste informazioni su come tali interessi influenzano le decisioni aziendali in materia di sostenibilità;
- la governance e gli incentivi: dovrà essere descritta l’azione degli organi di amministrazione e controllo in relazione alle questioni di sostenibilità, nonché l’esistenza di eventuali incentivi per i membri del consiglio di amministrazione collegati a performance ESG;
- la due diligence e la gestione della catena del valore: sarà obbligatorio includere le procedure di due diligence adottate dall’impresa per identificare, prevenire e mitigare i rischi legati alle questioni ambientali, sociali e di governance. Questa analisi dovrà coprire l’intera catena del valore, includendo prodotti, servizi e rapporti commerciali con fornitori e clienti, nonché le modalità di gestione dei rischi connessi alla sostenibilità.
Una delle novità più rilevanti è la valutazione della cd. doppia materialità, che richiede alle imprese di rendicontare non solo come i fattori ESG influiscono sulla loro attività, ma anche l’impatto che le attività dell’impresa hanno sull’ambiente e sulla società. Tale approccio evidenzia un cambiamento verso una maggiore trasparenza e una visione olistica delle operazioni aziendali.
Obbligo di sottoporre la rendicontazione di sostenibilità ad Assurance
Un aspetto cruciale della CSRD è l’obbligo di sottoporre la rendicontazione di sostenibilità a un’assurance esterna, infatti, tale rendicontazione dovrà essere certificata da un revisore legale o da una società di revisione indipendente.
Il revisore avrà il compito di esaminare in dettaglio la rendicontazione e, in particolare, dovrà verificare l’accuratezza e la verificabilità dei dati dichiarati dalla società e l’effettiva implementazione di politiche e pratiche aziendali per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.
Le imprese, al fine di redigere correttamente la relazione di sostenibilità, dovranno avvalersi degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), ossia degli standard di sostenibilità sviluppati dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), che definiscono il contenuto, la struttura e i criteri di rendicontazione.
La CONSOB svolgerà un ruolo chiave nella supervisione dell’applicazione delle norme previste dalla CSRD, grazie a un rigoroso sistema di controllo e sanzioni previsto dal decreto, volto a garantire il rispetto degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità.
In particolare, le violazioni sono soggette alle medesime sanzioni amministrative già previste dal Testo Unico della Finanza (TUF) per il mancato rispetto degli obblighi di informativa finanziaria. Le principali sanzioni includono:
- dichiarazione pubblica dell’infrazione e della persona giuridica che l’ha commessa;
- ordine di eliminazione delle infrazioni contestate;
- sanzioni pecuniarie amministrative che vanno da 5.000 a 10 milioni di euro, oppure fino al 5% del fatturato annuo dell’impresa, a seconda di quale sia l’importo più elevato. È prevista una disciplina transitoria per i primi due anni dall’entrata in vigore delle nuove norme, durante la quale le sanzioni saranno limitate a un massimo di 2,5 milioni di euro.
In caso di irregolarità nella rendicontazione di sostenibilità o di omissione di informazioni rilevanti, la CONSOB avrà il potere di imporre non solo sanzioni pecuniarie, ma anche misure correttive obbligatorie per garantire che le imprese si adeguino agli standard previsti.
Questo sistema di enforcement, insieme all’obbligo di assurance esterna, mira a rafforzare la trasparenza e l’affidabilità delle informazioni di sostenibilità fornite dalle imprese, promuovendo una cultura di responsabilità e rendicontazione nelle pratiche aziendali.
Entrata in vigore del decreto di attuazione della CSRD
Le disposizioni del Decreto Legislativo n. 125/2024 si applicheranno in modo graduale, in funzione della tipologia di impresa e della data di inizio dell’esercizio finanziario. Le principali scadenze sono:
- 1° gennaio 2024: per le grandi imprese e gli enti di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, inclusi i gruppi di grandi dimensioni.
- 1° gennaio 2025: per le grandi imprese diverse da quelle indicate nella precedente scadenza e per le società madri di gruppi non qualificati come enti di interesse pubblico.
- 1° gennaio 2026: per le PMI quotate, ad eccezione delle microimprese e per altri enti definiti “piccoli e non complessi” secondo il Regolamento (UE) n. 575/2013.
- 1° gennaio 2028: per le imprese di Paesi terzi che operano nell’Unione Europea e che soddisfano specifici criteri di attività e presenza sul mercato europeo.
Sinergie con la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD)
Insieme alla CSRD, anche la Direttiva 1760/2024 (Corporate Sustainability Due Diligence Directive – CSDDD), pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea lo scorso 5 luglio, rappresenta un importante pilastro del quadro normativo europeo sulla sostenibilità, pur avendo obiettivi distinti e complementari. Entrambe le direttive mirano a trasformare il modo in cui le imprese europee operano e rendicontano rispetto agli obiettivi e ai rischi di sostenibilità e alla gestione dei medesimi, introducendo obblighi che vanno dalla due diligence alla trasparenza nella rendicontazione di sostenibilità.
Mentre la CSRD impone alle grandi imprese e alle PMI quotate obblighi di rendicontazione, la CSDDD – che entrerà in vigore dal 2027 – obbliga le aziende destinatarie a condurre una due diligence lungo la propria “chain of activity”. Questo obbligo si estende quindi sia ai flussi upstream (fornitori e materie prime) sia ai flussi downstream (distribuzione, clienti e uso finale dei prodotti o servizi). Le imprese dovranno quindi identificare, prevenire e mitigare i rischi relativi ai diritti umani e all’ambiente che si presentano lungo tutta la loro catena del valore, includendo sia i partner commerciali che i rapporti indiretti, garantendo una gestione responsabile e sostenibile dell’intero processo produttivo e distributivo.
La sinergia tra la CSRD e la CSDDD si manifesta nel fatto che le attività di due diligence obbligatorie previste dalla CSDDD alimenteranno direttamente il processo di acquisizione e monitoraggio delle informazioni e dei dati che andranno poi rendicontati ai sensi della CSRD. In particolare, la due diligence fornisce le informazioni essenziali per determinare le questioni materiali da includere nei report di sostenibilità, aiutando le imprese a identificare i rischi e a gestirli in modo trasparente. Questo processo di integrazione assicura che i rischi e i potenziali o effettivi impatti negativi identificati nella catena del valore non solo siano gestiti, ma siano anche comunicati chiaramente agli stakeholder e agli investitori attraverso la reportistica prevista dalla CSRD.
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In conclusione, il recepimento della CSRD – introducendo nuovi obblighi di trasparenza sulle tematiche ESG – segna un passo fondamentale per le imprese italiane. Ciò vale sicuramente per le società destinatarie di un obbligo giuridico diretto, ma anche per le imprese che, pur non dovendo affrontare profili di cogenza normativa, fanno parte della filiera dei soggetti obbligati e che già oggi sono chiamati a fornire evidenze e garanzie in materia di sostenibilità da parte dei propri clienti o partner commerciali. Tuttavia, per garantire una rendicontazione efficace, le aziende dovranno prima dotarsi di una struttura giuridico-organizzativa solida, che consenta loro di operare in linea con i criteri di sostenibilità europei. La rendicontazione da sola non basta: senza un adeguato ripensamento dei processi aziendali e organizzativi, il rischio più ricorrente è quello di trasformare un percorso di sviluppo sostenibile del business in un mero esercizio formale, carente sotto i profili della sostanza, della correttezza e dell’efficacia e, perciò inutile se non rischioso.
[1] Che sono qualificate come tali se superano almeno due dei seguenti criteri per due esercizi consecutivi: più di 250 dipendenti, un fatturato annuo di oltre 50 milioni di euro e/o un bilancio di oltre 25 milioni di euro.