Inaugura lunedì 11 novembre 2019 presso R&P Legal: NICOLÒ QUIRICO, Assonanze urbane
Il nuovo ospite degli spazi di R&P Legal è un artista che usa la fotografia come strumento narrativo, spesso rimaneggiata con tecniche diverse, in modo ben poco tradizionale: Nicolò Quirico. Nel suo lungo e articolato percorso di ricerca, Quirico ha sempre ragionato per tematiche da esplorare e indagare mediante i suoi racconti per immagini, che si nutrono di riferimenti colti, suggestioni letterarie, approfondimenti storici. Uno dei suoi temi d’elezione è la città: ed è proprio al paesaggio urbano che abbiamo voluto dedicare questa esposizione.
La mostra si muove, con opere realizzate in periodi diversi, su tre differenti serie di lavori: La città sospesa, Il bestiario dell’ora blu e, soprattutto, i Palazzi di parole, a cui Quirico ha dedicato, con notevole successo, gli ultimi anni di lavoro. “Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”, scriveva Italo Calvino nel suo celeberrimo Le città invisibili.
È quasi inevitabile: davanti alle opere dedicate alle città di Nicolò Quirico il pensiero corre al testo del letterato, alle città che, sempre di più vanno somigliandosi l’una all’altra e che pure, però, se sapute ascoltare, possono dare risposte alle nostre domande. Nelle opere di Nicolò osserviamo la città da un punto di vista inconsueto, come gli angeli di Wim Wenders, ascoltiamo la sua voce, o meglio: le sue mille voci. Una babele di voci eterogenee, suoni, parole, melodie e rumori… sussurri, grida, pensieri, ricordi. Vita, insomma, poiché la città è, innanzi tutto, nel bene e nel male, un luogo vitale e dinamico, in continuo mutamento. S
e lo sguardo verso l’alto delle città sospese e il fascino inquieto dell’ora blu rivelano aspetti inconsueti e profondamente poetici degli spazi urbani, il racconto dei Palazzi di Parole conduce nel ventre delle metropoli, svelando i loro segreti più intimi. Della città Nicolò Quirico sa rubare l’anima, soffermandosi, quasi casualmente, sui molti edifici che la compongono: palazzi di epoche diverse, stili diversi, pensati per modi di vita diversi, messi tra loro in relazione, talvolta quasi uniformati, dalla trama inquieta e nervosa del tessuto urbano. Dai luoghi storici ai palazzi più insignificanti, lo sguardo dell’artista scorre qua e là per le strade di città vicine e lontane… Soprattutto per Nicolò Quirico si occupa di comunicazione visiva ed editoria, dal 1985, anno in cui si è diplomato all’Istituto Statale d’Arte di Monza.
Dal 1996 al 2004 lavora all’organizzazione del premio Morlotti-Imbersago e dà inizio alle sue ricerche artistiche, partendo dall’utilizzo del mezzo fotografico per creare installazioni di matrice concettuale. Ne nascono raffinati incontri tra immaginazione e memoria, tra storia e fantasia, come la mostra itinerante dedicata al fiume Adda e il Bestiario dell’ora blu, pubblicata sulla rivista Il fotografo. Nel 2009 vince la seconda edizione del Premio nazionale organizzato dalla Fondazione Vittorio e Piero Alinari di Firenze Fotografare il territorio. Ha al proprio attivo numerose personali e collettive, in Italia e all’estero. quelle di Milano, la sua città. Il suo non è uno sguardo interessato alla qualità architettonica o all’importanza storica dell’edificio, né tanto meno bada alla sua estetica.
La sua attenzione è tutta rivolta alla vita che in quei luoghi è passata, passa e passerà in futuro. Alle cento, mille storie che si sono svolte dentro quei muri. Quelli di Nicolò sono palazzi fatti da uomini, abitati da uomini che crescono in città popolate da uomini. Forse per questo a far sentire più forte la loro voce sono quei palazzi che a un primo, superficiale sguardo, sembrano tutti uguali, monolitiche presenze senza vita e senza pregi estetici, freddi oggetti immobili privi di virtù. Mettiamo da parte, per un attimo, il sapere; dimentichiamo il loro ruolo nella storia dell’architettura, lasciamo stare le ragioni, le ricerche e le sperimentazioni formali che talvolta si nascondono dietro a questi edifici.
Trattiamoli, per un attimo, come li percepisce lo sguardo del passante, dell’uomo qualunque, schiacciato dalla loro incombenza e dalla loro disarmante uniformità, alienato dalle loro forme geometriche e poco inclini al dialogo. Poco importa che siano le innovative ed eleganti forme di arcinoti edifici firmati da grandi architetti o quelle inutili e banali di un palazzone di periferia: essi ci appariranno tutti come mostruosi edifici inanimati, tristi e disarmanti cattedrali di una modernità che non bada più al progetto urbanistico, al bello pubblico o al luogo vivibile.
Lo sguardo di Nicolò ha saputo passare oltre la dura scorza anche di questi palazzi, penetrando nelle loro pareti, superando il cemento e la pietra delle loro facciate, per ascoltare le loro voci. Voci che sono rimaste intrappolate nei loro muri, che recano in sé la testimonianza di chi, in quei palazzi, vi ha abitato per giorni, per mesi, per anni, spesso per una vita. Già da tempo avvezzo a progetti che travalicano i confini tra le arti e mettono in dialogo arti visive e letteratura, Quirico ha immaginato di analizzare i palazzi con una macchina “ecofotografica”, un ipotetico sistema di indagine diagnostica che utilizza ultrasuoni per catturare l’eco degli abitanti. Ed ecco che, con uno straordinario escamotage (le pagine di libri multilingue stampati all’epoca di costruzione del palazzo), gli edifici prendono vita, esplodono in vibrazioni vitali, liberano suoni, parole, immagini, ricordi… Rendendo visibile la voce della città, la sua anima più profonda. In bilico tra fotografia e pittura, con le loro superfici materiche che animano la staticità delle immagini, i Palazzi di Parole offrono sensazioni visive, sonore, tattili, perfino olfattive, proponendo un punto di vista nuovo su panorami a noi talmente famigliari da darli quasi per scontati. Un progetto che, pur concentrandosi perlopiù su edifici realizzati nei decenni passati, invita anche a un possibile ripensamento degli spazi urbani attuali, che apre riflessioni importanti sul ruolo dell’architettura nell’epoca moderna e che pare, a tratti, strizzare l’occhio agli architetti e agli urbanisti di oggi, invitandoli a ripensare lo spazio cittadino in una dimensione più “umana” e accessibile, in costante dialogo con l’ambiente e i fruitori degli edifici progettati. Per questo Palazzi di parole non vuole essere semplicemente un progetto di arte visiva: intende aprire dibattiti, stimolare pensieri, coinvolgere il singolo individuo – e non soltanto l’esperto di settore – , con uno sguardo ampio, critico, intelligente, globale sulla realtà che ci circonda.
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