Internet delle Cose (“I.o.T”): non perdiamo altro tempo!”
La rivoluzione è in atto e noi facciamo finta di non accorgercene! O meglio: ne parliamo, facciamo convegni, realizziamo suggestive slides ma nella realtà facciamo poco o nulla di concreto. I dispositivi interconnessi nel mondo – ci dice uno studio della Ericsson – sono circa 16 miliardi e arriveranno presto a 28 miliardi: in Italia il business connesso al I.o.T è di circa 2 miliardi di euro con un trend in aumento molto sensibile. L’ultimo rapporto della Cisco, il Visual Networking Index, pubblicato proprio in queste ore, registra che a fine 2016 abbiamo toccato quota 4.9 miliardi di persone connesse al web da un dispositivo mobile, con 8 miliardi di apparecchi collegati. Se pensiamo che ormai, noi esseri umani, siamo circa 7.4 miliardi di individui viventi, abbiamo superato la soglia di un device a testa. L’Italia è al 12° posto davanti agli Stati Uniti con un +47% di incremento. La peculiarità, tutta italiana, sempre secondo il rapporto Cisco, è che siamo tra i primi paesi a comprare i device di ultima generazione adottando immediatamente tutto quello che passa per lo schermo di uno smartphone, ma poi continuiamo a essere indietro, molto indietro, rispetto agli altri paesi, nell’usare tecnologie e logiche del nuovo mondo applicate alla pubblica amministrazione.
Dunque il “villaggio globale” viaggia ad una velocità digitale mostruosa e il sistema Italia perde colpi. La digitalizzazione del paese, consentiteci questo termine generico ma che ci auguriamo sia rappresentativo della rivoluzione in essere, langue. Rimane al centro del dibattito formale ma non va oltre superficiali affermazioni o false promesse di realizzazione. Non “scende” nel paese reale né nella parte pubblica (l’ultima legge di stabilità dello scorso anno impose un taglio delle spese a ICT degli enti pubblici territoriali del 50% nel triennio, proprio in questo settore dunque!) né in quella privata. La fabbrica 4.0 è, per ora, salvo poche eccezioni, uno slogan da workshop delle associazioni di categoria. Siamo l’ultimo paese tra i membri dell’Unione Europea a livello di informatizzazione sia come copertura sia come investimenti. Renzi, “campione” del mondo del web è riuscito a convincere un grande manager italiano costretto ad emigrare negli Stati Uniti “per necessità”, Piacentini, a rinunciare ai milioni di dollari del suo compenso in Amazon per venire a Palazzo Chigi a guidare una task force per il rilancio della digitalizzazione della pubblica amministrazione. Un miracolo! Oggi, con Renzi “a casa” ad occuparsi “solo” di politica, il progetto è ancora in piedi ma Piacentini deve scontrarsi con una burocrazia che lo vincola nella sua energia propulsiva e innovativa. La squadra è di qualità ma molto “corta” si direbbe in termini calcistici. Con poca forza negoziale verso le strutture ministeriali vecchie ed arrugginite. Lavora intensamente e ha come primo obiettivo da raggiungere la mappatura delle risorse esistenti a livello nazionale. La fotografia, in altre parole, delle risorse di ICT sparse fra le varie branche nazionali e locali dello stato.
Detto ciò, che fare? Impigrirci su un processo che ci sta facendo perdere, in termine competitivi, straordinarie opportunità di business? I campi investiti dalla rivoluzione dell’I.o.T di cui sopra, sono innumerevoli: si va dalla video sorveglianza alla sicurezza nelle smart home (domotica); dal controllo delle flotte aziendali alla tracciabilità degli oggetti di valore o al monitoraggio del traffico cittadino. Quello che sorprende, irrita e poi si trasforma in malessere distruttivo e mirato poi a lasciare il “bel Paese” è soprattutto un dato: se l’I.o.T fosse applicato davvero alla smart city i risultati in termini di risparmio della spesa pubblica (la famosa Spending Review) sarebbero impressionanti. Stiamo parlando di “illuminazione pubblica intelligente”, di “gestione automatizzata della mobilità”, di “automazione intelligente del ciclo dei rifiuti e della raccolta urbana”. Interventi che permetterebbero in base ad alcuni autorevoli studi americani, (per tutti Telefonica, “The Smart Meter Revolution”, gennaio 2014) di risparmiare 4.2 miliardi di euro, tagliare 7.2 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica ed evitare le solite frustranti code nel traffico cittadino. Code che si portano dietro come conseguenza automatica ed immediata l’aumento delle ore improduttive del nostro sistema economico. Proprio in questi giorni la rivista on line Competere ha pubblicato uno studio denominato “9 proposte per l’Internet delle Cose” condotto da Benedetta Fiani, di cui consigliamo vivamente la lettura e la meditazione. Dopo aver fotografato il misero scenario attuale in Italia, il report si concentra su alcuni punti programmatici di attenzione, da discutere e condividere, ma soprattutto da realizzare al più presto. Una “lista della spesa” che vale la pena riprendere e commentare titolo per titolo
Riprendiamo quindi i 9 punti della piattaforma propositiva di Competere, commentandoli in calce e sperando così di stimolare ulteriormente i nostri “Decisori” politici nazionali a porsi il problema e soprattutto a far diventare davvero la digitalizzazione del paese e della pubblica amministrazione, una priorità di politica industriale. Le risorse sono poche e diminuite negli ultimi anni? Non è un alibi che tenga: basta considerare sul serio l’I.o.T. una priorità strategica del nostro futuro a breve per poi dirottare su tale capitolo di spesa risorse da altri settori meno prioritari o addirittura inutili, inefficienti e improduttivi. Questa è davvero la sfida sulla quale il governo deve metterci faccia, risorse e fiducia. Prima che sia troppo tardi.
Ma veniamo alle 9 proposte di Competere: in calce ad ogni proposta evidenzieremo in carattere corsivo il nostro pensiero in merito.
- Sviluppare una roadmap. Sarebbe opportuno che ogni governo nazionale sviluppasse una roadmap strategica per favorire l’implementazione e l’adozione dell’I.o.T in ambito pubblico, creando le condizioni migliori perché il privato operi in modo competitivo. Le istituzioni potrebbero, in questo modo, coinvolgere settori specifici che siano in grado di sviluppare azioni mirate a beneficio di determinate filiere industriali.
Come dicevamo è importante che il governo italiano metta davvero e in concreto tra le priorità del paese l’agenda digitale. Oggi, sulla carta tale scelta è stata fatta ma in realtà gli enti preposti (sia l’agenzia per la digitalizzazione sia la task force di Piacentini) hanno strutture limitate e poche risorse disponibili. E’ necessario investire in tali strutture in modo tale che diventino davvero le cabine di regia di uno sviluppo del settore che si basi su una collaborazione innovativa e virtuosa tra il pubblico e i privati, a beneficio delle filiere industriali domestiche.
- Dare l’esempio. Se il settore pubblico adottasse per primo un piano favorevole alla diffusione dell’I.o.T per dimostrarne i benefici, il valore e il volume degli investimenti aumenterebbero in modo proporzionale.
L’esperienza americana ci insegna che l’innesco pubblico è fondamentale per accelerare i processi di innovazione nelle industrie private. Senza lo start-up promosso dal settore pubblico tutto diventa più difficile e faticoso
- Investire nelle partnership per superare gli ostacoli. Molti dei progetti che includono lo sviluppo dell’I.o.T potrebbero sfruttare la partnership tra settori pubblici e privati. Questo tipo di collaborazione potrebbe ridurre il gap fra grandi e piccoli operatori a favore delle realtà locali più ristrette e con budget limitati.
Un nuovo format di Public Private Partnership è fondamentale per operare davvero un salto di qualità e di accelerazione del settore.
- Ridurre le barriere normative e i ritardi. Un lungo e massiccio processo di regolamentazione non solo rallenterebbe la disponibilità di avere i dispositivi disponibili e operativi sul mercato, ma scoraggerebbe gli investimenti da parte del settore privato e da parte degli investitori internazionali.
La semplificazione normativa e l’efficientamento della macchina amministrativa sono due chiavi di volta del processo di sviluppo della digitalizzazione del paese. Non abbiamo bisogno di nuove norme, di nuovi regolamenti, di nuova burocrazia: abbiamo bisogno di risorse adeguate, di professionalità e di efficienza. L’auspicio è che il governo si concentri su questi aspetti operativi
- Facilitare la condivisione e il riutilizzo dei dati. Poter utilizzare e condividere con assoluta semplicità i dati garantirebbe ai consumatori la possibilità di sfruttare al meglio i benefici connessi all’I.o.T. La decisione riguardo gli standard da utilizzare è decisiva. La scelta di utilizzare standard aperti e condivisi a livello internazionale sembra essere la soluzione migliore per garantire la massima iperoperabilità.
Il Data Sharing e il riuso sono due elementi fondamentali per razionalizzare e valorizzare le risorse esistenti. Soltanto in questo modo potranno essere ottimizzate le eccellenze esistenti in certi settori attraverso la socializzazione con quelli rimasti più indietro.
- Continuare ad investire per ottenere tecnologie sempre più performanti. Investire costantemente sulle nuove tecnologie può permettere di raccogliere dati sempre più completi e puntuali. Utilizzare dati migliori garantirebbe un monitoraggio più attento ai processi interni e una maggiore resa produttiva.
Il punto è assolutamente condivisibile e deve essere coniugato con i concetti espressi precedentemente.
- Ridurre il “data devide”. Nessuno può rimanere escluso. E’ necessario che una leadership politica lungimirante in fatto di innovazione permetta all’intera comunità di godere dei benefici socio-economici derivanti dall’I.o.T, senza limitare la libertà del settore privato.
Idem come sopra. La rivoluzione digitale non deve portare ad inique nicchie di privilegiati. Deve essere un processo globale che fa beneficiare tutta l’intera comunità dei benefici derivanti dall’applicazione dei risultati dell’I.o.T.
- Utilizzare i dati per risolvere le questioni più difficili. La costante connessione degli oggetti ad internet potrebbe non solo semplificare la nostra vita, ma renderla addirittura migliore. Implementare l’I.o.T in settori chiave quali la sanità e la pubblica sicurezza è fondamentale per garantire un livello di innovazione competitivo a livello globale.
Sanità e pubblica sicurezza sono i primi due settori che potrebbero dare ai cittadini la concreta sensazione degli straordinari risultati ottenibili con una efficiente e professionale utilizzazione dei risultati dell’applicazione dell’I.o.T. Sicurezza e salute sono le due priorità principali di ogni comunità civile: bisogna incominciare di lì per dimostrare concretamente il beneficio della rivoluzione digitale.
- Regolamentare solo dove è necessario e mai in via precauzionale. Molte delle nuove tecnologie vengono guardate dai consumatori con incertezza, a volte addirittura con paura. Tuttavia porre un freno ai benefici derivanti dall’innovazione tecnologica rappresenta un rischio da evitare. Per questo motivo il decisore pubblico dovrebbe agire con cautela nel regolamentare eccessivamente in via precauzionale questo settore: agendo in questo modo, oltre a limitare la competitività e la libera concorrenza, si rischierebbe di rallentare tutti i benefici socio-economici connessi all’I.o.T
Condividiamo, come detto, la necessità di una semplificazione normativa ma è indubbio che l’innovazione dell’I.o.T porrà problemi prospettici di nuovi inquadramenti giuridici delle novità scaturenti dalla rivoluzione digitale. Pensiamo soltanto all’Intelligenza Artificiale e a tutte le questioni inerenti e conseguenti il proliferare di robot sempre più autosufficienti ed operativi nella nostra vita lavorativa e quotidiana. Il nostro sistema giuridico è incentrato sugli esseri umani e sui loro rapporti con i terzi: come inquadrare la nuova figura del robot, nuovo soggetto giuridico scaturente dalla Intelligenza Artificiale? Come disciplinarne le responsabilità e conseguentemente i perimetri operativi? Interrogativi inquietanti ma che dovranno trovare a breve una adeguata risposta da parte dei giuristi. Senza contare un aspetto di education fondamentale per far crescere una cultura generale sull’utilizzo di queste nuove tecnologie: l’introduzione di corsi di Educazione Digitale nelle scuole. Uno strumento necessario per istruire i nostri ragazzi ad avere gli anticorpi necessari nella lettura e nell’utilizzo di tutto il mondo collegato ai social network.
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Come avviare lo sviluppo di tale agenda di cose da fare? Competere fotografa quattro modelli possibili di intervento: quattro tipologie di governance del processo attuativo. Vediamole singolarmente.
- Regolamentazione preventiva: una corrente di pensiero, per ora prevalente, tende a sottolineare l’importanza di una regolamentazione preventiva dei potenziali rischi connessi all’I.o.T. Tali misure, secondo questo filone propositivo, accrescerebbero la fiducia del consumatore accelerando la diffusione delle nuove tecnologie. Il rischio di tale approccio è che un intervento così invasivo imporrebbe parecchi vincoli all’evoluzione del settore rallentandone lo sviluppo.
- Nessuna nuova regolamentazione: questo filone di pensiero tende a lasciare al mercato la possibilità di raggiungere la massima efficienza/beneficio per i consumatori. Il maggior rischio sarebbe rappresentato dall’assenza di strategie proattive pubbliche che promuovano la diffusione delle nuove tecnologie. Si favorirebbe sicuramente la libera competizione sul mercato da parte dei privati ma si rischierebbe la limitazione degli effetti positivi dell’impatto sociale di questa rivoluzione.
- Innovazione a livello locale: l’I.o.T viene vissuta come un asset fondamentale a supporto delle imprese per l’incremento delle loro esportazioni di beni e servizi. Tale approccio presenta il rischio di approvare regolamentazioni che ostacolino l’attrazione di investimenti esteri a favore delle nostre imprese nazionali. In altre parole una forma di protezionismo con tutte le sue possibili derive negative.
- Partnership pubblico-private con il governo in una posizione neutrale: il governo potrebbe aiutare l’accelerazione dello sviluppo e della diffusione dell’I.o.T limitandosi a finanziare la ricerca sulle reti mobili, creando progetti pilota per le smart city, evitando un eccesso di regolamentazione e fornendo incentivi mirati per la distribuzione delle smart grid. Tale filone di pensiero vede il governo come una cabina di regia di coordinamento e armonizzazione del mercato con l’istituzione di PPP fondamentali per la promozione dei benefici derivanti dall’I.o.T. L’intervento pubblico sarebbe limitato, la libera concorrenza sarebbe garantita, il ruolo delle istituzioni sarebbe quello di controllare il mercato evitando squilibri e fornendo un indirizzo strategico univoco.
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Il tema è ampio, complesso e impegnativo. Ma il nostro paese non può sottrarsi da questa sfida se vuole davvero farsi carico non solo dei destini delle nostre generazioni ma anche di quelle dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Riccardo Rossotto