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Le registrazioni delle riunioni sono ammissibili in tribunale anche senza consenso: la Cassazione tutela il diritto alla...

Un dipendente può registrare le conversazioni tra colleghi senza il loro consenso, se lo scopo è quello di difendersi in giudizio. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente ordinanza (n. 24797/2024), che ribadisce un principio ormai consolidato: il diritto alla difesa in giudizio prevale sul diritto alla privacy.

Il caso riguarda una controversia di lavoro in cui alcuni dipendenti hanno prodotto in tribunale la registrazione di una riunione tra un collega e i dirigenti della loro azienda. I dirigenti, presentando reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, hanno chiesto di eliminare il file audio, sostenendo che la registrazione era stata effettuata senza consenso. Tuttavia, il Garante ha rigettato la richiesta, ritenendo la registrazione lecita poiché giustificata dalla necessità di difendersi in una causa legata al rapporto di lavoro.

I dirigenti hanno così deciso di rivolgersi al tribunale, che aveva accolto le loro ragioni dichiarando illegittima la decisione del Garante, in quanto la registrazione era stata effettuata senza che vi fossero nell’immediatezza esigenze difensive e anzi, che la stessa era stata conservata e ceduta a colleghi per essere prodotta a distanza di anni nelle cause di lavoro contro l’azienda. Ma la Cassazione ha capovolto la sentenza di primo grado, affermando che in situazioni in cui è in gioco un diritto fondamentale, come quello alla difesa, è possibile trattare i dati personali senza il consenso dell’interessato, purché effettuato nel rispetto del criterio della minimizzazione.

La Corte, in particolare, ha sottolineato che spetta al giudice valutare e bilanciare i diversi interessi in gioco, decidendo se ammettere o meno prove che includano dati di terzi.

La Cassazione ha affermato – richiamando il diritto alla cancellazione (art. 17 GDPR) e quello di opposizione (art. 21 GDPR) che, nel bilanciamento tra il diritto alla difesa e la protezione dei dati personali, il primo può prevalere, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali legati alla dignità della persona, come quelli dei lavoratori.

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