Le Sezioni Unite dirimono il contrasto giurisprudenziale in tema di usura sopravvenuta
Con l’odierna decisione, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno tentato di risolvere l’annosa questione in merito agli effetti civili della cd. “usura sopravvenuta”, oggetto di numerose pronunce contrastanti sia da parte della giurisprudenza di merito che della stessa giurisprudenza di legittimità.
La questione è sorta all’entrata in vigore della L 108/1996, la quale ha sostituito la vecchia formulazione dell’art. 644 c.p. introducendo una serie di disposizioni volte a combattere il fenomeno dell’usura. In particolar modo, si è posto l’accento, oltre che sui contratti di mutuo stipulati prima dell’entrata in vigore della suddetta legge, sui contratti di mutuo che, pur aventi un tasso di interessi inferiore alla soglia usuraria nel momento della stipula, successivamente, ad opera dei complessi meccanismi stabiliti all’art. 2 della L. 108/1996, superano detta soglia.
La soluzione adottata può avere pesanti ricadute economiche, poiché l’art. 1815 co. 2 c.c. stabilisce che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
Per questa ragione il D.L. 394/2000 ha introdotto all’art. 1 una norma di interpretazione autentica, in quanto viene dalla stessa espressamente stabilito che “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 co. 2 c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
Se un primo orientamento ha ritenuto che, nel qualificare il tasso come usurario, è attribuita rilevanza esclusivamente al momento in cui lo stesso è pattuito (sul punto vedi, fra le altre, Cass. Civ. 22204/2013 e Cass. civ. 801/2016[1]), un secondo si è discostato da questa interpretazione.
Le motivazioni poste a fondamento di quest’ultimo indirizzo, hanno sostenuto, di fatto ignorando il D.L. 394/2000, che il superamento del tasso soglia in un periodo successivo alla pattuizione degli interessi comportasse l’applicazione dell’art.1815 co. 2, con l’ovvia conseguenza che non fosse più dovuto alcun interesse.
Le pronunce più recenti, pur non giungendo a decisioni così estreme, hanno gradatamente diversificato le soluzioni: alcune hanno stabilito che, nei casi di superamento della soglia prevista dalla legge, la clausola contrattuale fonte degli interessi divenuti successivamente usurari debba dichiararsi inefficace ex nunc; altre, più semplicemente, hanno ritenuto che gli stessi interessi divenuti usurari, a norma del 1319 c.c. e 1419 c.c., debbano essere sostituiti con quelli del tasso soglia del tempo (sul punto vedi, fra le altre, Cass. Civ. 602/2013; Cass. Civ. 603/2013, Cass. Civ. 801/2016).
Le sezioni unite, aderendo al primo dei suddetti indirizzi, hanno motivato la propria decisione sostenendo che la ragione dell’illiceità del tasso usuraio risiede nella violazione di un divieto imperativo di legge stabilito dall’art. 644 c.p. ed dall’art. 1815 co. 2 c.c., mentre le altre disposizioni contenute nella L. 108/1996 si limiterebbero “a prevedere un meccanismo di determinazione del tasso oltre il quale gli interessi sono considerati sempre usurari a mente, appunto, dell’art. 644 co. 3 c.p.c.”.
Tenendo dunque a mente il legame intercorrente fra disposizioni civili e penali è chiaro che la tesi che cerca di limitare l’efficacia della norma di interpretazione autentica ai soli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., non tiene conto del suindicato rapporto fra le disposizioni civili e penali, e per cui “è configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 c.p., per come interpretato alla luce del D.L. 394/2000”.
Né vale il richiamo, ricorrente nelle sentenze di segno opposto, alla funzione calmieratrice del mercato, la quale avrebbe ispirato la L. 108/1996. Infatti, da quanto si desume nella stessa relazione illustrativa della legge e dalla sent. n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale, gli interventi legislativi in materia di usura non servirebbero a regolare il mercato quanto a predisporre strumenti idonei a combattere il fenomeno dell’usura. Del resto la Suprema Corte giustamente ricorda come la predisposizione trimestrale del tasso soglia sia considerabile come un effetto e non come una causa dell’andamento del mercato.
Altra argomentazione, invero di ordine più generale, fa leva sul principio di buonafede oggettiva e per il quale le parti debbono agire preservando gli interessi l’una delle altre. Sul punto, la Suprema Corte richiama la propria giurisprudenza, osservando come il canone di buonafede si debba riscontrare nelle modalità di esecuzione del contratto e non nell’esercizio in sé dei diritti scaturenti dal medesimo.
Dunque, secondo la sentenza in oggetto, nel caso in cui il tasso di interesse derivante dall’esecuzione del contratto superi, nel corso del rapporto, la soglia di interessi concordata al momento della stipula del medesimo, non si verifica né la nullità / inefficacia degli interessi concordati, né può eccepirsi alcunché alla parte che legittimamente ne richieda il pagamento, anche nella misura in cui gli stessi interessi abbiano superato la soglia di legge.
[1] Cass. Civ, sez. I, del 27 settembre 2013 n. 22204, disponibile in www.iusexplorer.it; Cass. Civ, sez. I, del 19 gennaio 2016 n. 804, disponibile in www.iusexplorer.it;