Separazione dei coniugi: il trasferimento del diritto di abitazione non richiede l’atto pubblico prima del 2010
La Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su un tema ricorrente negli accordi di separazione e divorzio, cioè il trasferimento di diritti reali immobiliari da un coniuge all’altro.
Il caso è nato presso il Tribunale di Ancona, al quale l’ex marito aveva chiesto di accertare l’inesistenza in capo all’ex moglie del diritto di abitazione sull’immobile di sua proprietà, sebbene tale diritto fosse stato attribuito alla moglie in sede di separazione consensuale nel 2008, con il pieno accordo di entrambi.
L’uomo chiedeva anche che fosse accertata l’inesistenza di qualunque diritto dell’ex moglie sull’immobile, che la trascrizione del diritto di abitazione effettuata presso la conservatoria fosse cancellata e che l’immobile gli venisse restituito.
Il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, hanno respinto il ricorso dell’uomo.
Secondo quest’ultima, il diritto di abitazione era stato chiaramente oggetto di pattuizione tra i coniugi e le espressioni letterali utilizzate nell’atto palesavano la comune intenzione delle parti di riconoscere in capo alla donna tale diritto senza necessità di compiere alcuna ulteriore manifestazione di intenti o, comunque, ulteriore attività, quale il successivo compimento di un atto pubblico.
La Suprema Corte ha condiviso le decisioni dei giudici di merito.
Secondo l’ex marito, l’accordo avente ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari, inserito negli accordi di separazione, ha solo effetti obbligatori, cioè crea semplicemente un vincolo tra le parti a compiere un successivo atto pubblico notarile per confermare il trasferimento. Non ha, invece, effetti reali, cioè non produce di per sé il trasferimento del diritto.
La conseguenza sarebbe, secondo l’uomo, che in assenza del successivo atto notarile di passaggio del diritto di abitazione da marito a moglie, la moglie avrebbe perso il proprio diritto o, addirittura, non lo avrebbe mai neppure acquisito.
Il ricorrente invoca a sostegno della propria tesi la legge 27 febbraio 1985, n. 52, art. 29, comma 1 bis, secondo cui ‘gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.’
Il comma in esame, della cui applicazione si discute nel caso di specie, è stato introdotto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, con decorrenza dell’applicazione a partire dal 1 luglio 2010.
L’ex marito, richiamando l’applicazione di tale legge, tenta di sostenere la natura meramente obbligatoria dell’accordo tra i coniugi. Ma secondo la Corte, considerato peraltro che l’accordo è stato concluso nel 2008, la legge richiamata e la questione di mera forma ad essa connessa non possono trovare applicazione.
La Corte si pronuncia anche in merito alla doglianza del marito circa la mancata pronuncia del giudice del merito sulla richiesta di revoca della clausola di costituzione del diritto di abitazione.
Poiché si trattava, secondo il ricorrente, di una qualunque delle varie pattuizioni della separazione, poteva essere oggetto di modifica o di riesame.
Anche su questo punto la Corte non condivide la tesi dell’uomo.
Infatti, ricorda la Cassazione, la costituzione del diritto di abitazione ha natura di ‘contratto atipico’, anche se contenuta in un più generale accordo di separazione: ‘La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata (..). Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c.’.