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Sequestro di un sito web: la questione all’attenzione delle Sezioni Unite

 

Sequestro del sito web di una testata giornalistica: la questione all’attenzione delle Sezioni Unite – Corte di Cassazione sezione I penale, ordinanza del 30 ottobre 2014, n. 45053

 

Con l’ordinanza n. 45053 del 30 ottobre 2014 la sezione I della Suprema Corte ha deciso di devolvere all’attenzione delle Sezioni Unite – ovvero la Sezione deputata a dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni o a decidere su questioni di speciale importanza – uno dei nodi giuridici più “caldi” in tema di diffamazione giornalistica on line.

 

Va chiarito che sul tema non si era ancora formato un vero e proprio conflitto giurisprudenziale, ma la sezione I ha probabilmente – e saggiamente – deciso di  anticipare i possibili e futuri “scontri” anche alla luce della attualità del tema, concernente le caratteristiche, i diritti ed i limiti del giornalismo on line e la possibilità di applicare a quest’ultimo le regole proprie della carta stampata.

 

Prima di inquadrare la questione giuridica, un breve cenno sui fatti incriminati: si tratta di un articolo dal contenuto diffamatorio ex art. 595 c.p. pubblicato sulla pagina web della testata giornalistica registrata «ilgiornale.it» ed intitolato «Toh giudice Cassazione amico toga diffamata» per il quale era stato disposto il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. ed il relativo oscuramento della pagina web; i difensori dei giornalisti indagati avevano quindi impugnato il provvedimento innanzi al Tribunale del Riesame che però aveva confermato la legittimità del sequestro. Contro tale decisione è stato quindi presentato ricorso in Cassazione la quale, come già detto, alla luce della differenza di vedute caratterizzanti la questione, ha deciso di rivolgersi alle Sezioni Unite tramite l’ordinanza in commento.

 

Il “cuore” del ragionamento della Suprema Corte ricade sulle guarentige previste all’art. 21 della Costituzione ove si sancisce la libertà di pensiero e, in buona sostanza, si impone un generale divieto di sequestro preventivo della stampa. Come emerge chiaramente dal tenore della disposizione la preoccupazione dei costituenti era quella di evitare che si potessero rinnovare le misure limitative della libertà di manifestazione del pensiero realizzate durante il periodo fascista e, per tale ragione, alla libertà di stampa fu riservata una tutela ipergarantista, superiore a quella prevista per altre libertà (come la libertà personale, ad esempio, prevista all’art. 13).

 

Sul punto le pronunce emesse negli ultimi anni (Cass. pen. V, 5/3/2014, n. 10594; Cass. pen. V, 10/1/2011 n. 7155; Cass. pen. V, 19/9/11, n. 46504) sostenevano in buona sostanza che la libertà di pensiero non può costituire un veicolo per la commissione di reati e che le specifiche garanzie previste all’art. 21 della Costituzione, vista la diversità strutturale ed ontologica del mezzo, non sono applicabili al web; in definitiva le motivazioni delle sentenze citate, di cui in parte si dirà meglio di seguito, hanno concluso ribadendo (a volte in termini forse un po’ troppo tranchant) un concetto molto preciso: “la telematica non è stampa” con la conseguenza che ogni applicazione analogica dell’art. 21 andrebbe esclusa in radice.

 

Ebbene, la sezione I, senza mezzi termini, dichiara di non condividere affatto l’orientamento appena citato.

 

Ed infatti uno degli argomenti principali spesi in passato per negare la descritta applicazione analogica risiedeva nella maggior offensività del mezzo informatico rispetto alla stampa che, per tale ragione, avrebbe quindi meritato di essere colpito da provvedimenti maggiormente restrittivi. Ebbene, secondo la Corte tale ragionamento non è congruente al tema in discussione. 

 

Non vi è infatti dubbio che il mezzo telematico consente l’accesso e la fruizione in modo universale da parte di chiunque in qualsiasi luogo si trovi, tuttavia ciò che si tende a dimenticare è che tale profilo è solo uno dei fattori, peraltro non esclusivo, che concorrono a determinare l’offensività della condotta diffamatoria. Del resto una notizia pubblicata su un giornale ad elevatissima tiratura e letto da milioni di persone ben potrebbe arrecare un maggior nocumento rispetto a quello generato da una notizia disponibile su un sito con pochi accessi e pochi utenti.

 

Ad ogni buon conto, poi, la (pretesa) maggior offensività di una diffamazione a mezzo web rispetto a quella a mezzo stampa non avrebbe alcuna influenza sulla individuazione della “eadem ratio” che sottende ad ogni applicazione analogica.

 

Ciò che infatti deve essere considerato prevalente ai fini dell’analogia tra stampa e web è che, a ben vedere, la garanzia costituzionale dell’art. 21 non riguarda il mezzo (stampa), ma cade, in via principale se non esclusiva, sull’esercizio della libertà di pensiero che – e si viene al “nodo” della questione – può essere attuata anche con mezzi diversi dalla stampa e ciò, aggiungiamo noi, a maggior ragione in caso di testate giornalistiche on line registrate: secondo la sezione I, quindi, anche la libertà di pensiero esercitata a mezzo web potrebbe meritare le medesime garanzie costituzionali previste per la carta stampata.

 

 

Sulla base di ciò e, quindi, per evitare il sorgere di un “contrasto giurisprudenziale rispetto agli ordinamenti censiti nella giurisprudenza di legittimità”, si è deciso di investire della questione le Sezioni Unite.

 

 

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