Trust, uno strumento delicato che ha bisogno di esperti
Sono passati quasi 34 anni dalla firma della Convenzione dell’Aja, con cui l’Italia riconosceva come trust tutti «i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico». Da allora, grazie anche all’opera divulgativa svolta dal professor Maurizio Lupoi, l’utilizzo di quest’istituto di diritto anglosassone è diventato sempre più frequente anche in Italia. Tuttavia, al di là del progressivo superamento delle difficoltà giuridiche che l’istituto comporta, l’Italia sconta ancora alcuni «gap» culturali che ne rallentano l’impiego.
«Il primo, è l’allergia allo spossessamento che il trust implica», spiega Domenico Rinaldi, partner di PG Legal, «Oggi l’evoluzione dello strumento consente sicuramente differenti gradazioni nell’affidamento dei beni al trustee, il cui potere viene ad essere «temperato» dal trust deed. Tuttavia, ai fini della legalità e della «credibilità» del trust, l’indipendenza del trustee rispetto al disponente è ancora un elemento imprescindibile.