Update | Responsabilità penali per reati tributari e consiglieri di amministrazione
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con la sentenza n. 11087/2022 che ha ritenuto che la responsabilità per reati tributari, in assenza di deleghe, possa estendersi a tutti i consiglieri di Amministrazione.
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La Corte, in particolare ha distinto l’ipotesi in cui il Consiglio di Amministrazione operi con o senza deleghe richiamando quanto previsto dall’art. 2392 c.c., norma che, come noto, regola la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle S.p.A ed in base alla quale questi sono solidamente responsabili verso la società dei danni derivati dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi (si veda per il consiglio di amministrazione l’art. 2381, comma 2, c.c.).
Dal suddetto assetto normativo – a detta della Corte – deriva che, “a meno che l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti”.
In assenza di deleghe, rimane il meccanismo di esonero contemplato dall’art. 2392, comma 3, c.c. che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune di colpa e che può evitare eventuali responsabilità.
Diventa dunque fondamentale, per la tutela dei consiglieri, l’attuazione e l’organizzazione di un sistema di deleghe, perché solo nell’ipotesi in cui specifiche materie siano state attribuite con delega ad uno o più amministratori, gli illeciti compiuti investono esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati.
Secondo la Suprema Corte, rimane comunque in capo ai consiglieri non operativi, ovverosia esenti da delega, una responsabilità residua che sorge “dal dovere di informazione in ordine all’andamento della gestione sociale e sulle operazioni più significative: su di loro, in presenza di segnali di allarme, vige l’onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose”.
In tale contesto, resta ferma in ogni caso l’applicabilità dei principi generali in tema di concorso di persone nel reato.
Nel caso in cui il delegato abbia posto in essere la condotta penalmente rilevante perché istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accordo intercorso con altri soggetti, è infatti ipotizzabile l’attribuzione a questi ultimi (che ben possono essere altri consiglieri di amministrazione) del reato a titolo di concorso.
Questione analoga è stata affrontata dal giudice di legittimità in relazione ad altri reati tributari, come il delitto di omessa dichiarazione dei redditi o IVA, che essendo reato proprio, può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale, è obbligato alla relativa presentazione. Secondo la Cassazione, “salve le ipotesi di costringimento fisico e di errore determinato dall’altrui inganno, il concorso nel reato è ipotizzabile solo in forma morale, quando cioè chi vi è obbligato ha omesso di presentare la dichiarazione perché istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accorso intercorso con altri soggetti” (Cass. Pen. n. 18827/2019).
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